Concessioni demaniali marittime, 115 milioni in tasse

Incasso fiscale irrisorio per lo Stato, da quest’anno (forse) saranno messe a gara

Il primo gennaio 2023 sarebbero dovute partire le gare per la gestione delle concessioni demaniali non solo marittime ma anche fluviali e demaniali ma l’8 febbraio 2023 i partiti di maggioranza hanno trovato un accordo per rinviare questa scadenza al 2024.  Ora pare la volta buona, soprattutto dopo la lettera che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha inviato al governo sollecitando non solo gare le per le concessioni demaniali marittime ma anche gare per la concessione degli spazi per i venditori ambulanti.

Riguardo alla gare per le concessioni marittime è ovvio che potranno partecipare anche coloro che attualmente gestiscono gli impianti. Anzi: avranno un punteggio più alto rispetto a chi partecipa per la prima volta per tenere conto degli investimenti effettuati, dell’esperienza e delle capacità tecniche di gestione.

Tutto parte dalla direttiva Bolkenstein

La direttiva Bolkenstein è una pietra miliare della legislazione europea nel campo del libero mercato e della concorrenza all’interno della Ue ed è quella che regola lo svolgimento delle attività legate ai servizi privati nei singoli Stati che, salvo particolari eccezioni, devono poter essere appannaggio anche di imprese e professionisti di altri Paesi dell’Unione.

Le concessioni demaniali marittime in Italia

In Italia, Paese con 8.300 km di coste, è nota soprattutto per le regole riguardanti le concessioni balneari che, secondo la stessa direttiva, riguardando un bene demaniale limitato, dovrebbero essere messe a gara e concesse, appunto, per un tempo limitato e non per decenni come avviene ora. Il rispetto di tale legge europea porrebbe fuori mercato molti attuali proprietari di stabilimenti balneari, favorendo, secondo gli oppositori della Bolkestein, grandi gruppi, anche stranieri, e segnando la fine o il ridimensionamento della piccola proprietà, spesso familiare, che caratterizza oggi il settore.

L’Italia non ha mai applicato la direttiva Bolkestein

Ed è per questo che nonostante sia stato nel 2006 che la direttiva è stata approvato da Parlamento e Consiglio europeo, dopo essere stata proposta dalla Commissione, finora nel nostro Paese non è stata di fatto applicata con riferimento al mercato delle concessioni balneari. I vari governi che si sono succeduto hanno sempre prorogato le concessioni demaniali marittime, in violazione alla Bolkestein. Ultimamente lo hanno fatto fino al 2034, come stabilito dalla Legge di Bilancio del 2019, decisione confermata poi dal Decreto Rilancio del 2020 ma rimessa in discussione, appunto, dalla sentenza del Consiglio di Stato che obbliga alla vendita degli stabilimenti balneari tramite gara pubblica.

Le concessioni demaniali marittime sono 29.689

Tali proroghe sono state regolarmente condannate dalla Commissione Europea, che ha inviato una lettera di infrazione contro l’Italia e hanno generato degli scontri in seno all’amministrazione dello Stato, con l’Autorità della Concorrenza (Agcom) che ha fatto ricorso contro il Governo, il Tar di Lecce che ha bocciato tale ricorso e il Consiglio di Stato che si è appena pronunciato. Lo scontro sulle concessioni demaniali marittime è però naturalmente politico ed economico prima che giuridico. E riguarda anche il consenso di una parte importante del settore del turismo, che occupa in Italia decine di migliaia di persone e coinvolge, secondo Unioncamere, 6.823 stabilimenti, responsabili di ben 29.689 concessioni. Vuol dire che gran parte degli stabilimenti sono titolari di più di una concessione.

Ogni concessionario ha più di una concessione

A confermare questo trend vi sono anche i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che tuttavia nelle statistiche sugli indici di affidabilità parlano di 5.709 esercizi nel 2019. Più della quantità sono interessanti, però, gli indicatori economici che caratterizzano tali stabilimenti. Secondo il Mef prima della pandemia in media ognuno di essi aveva ricavi di 190.700 euro, per un valore aggiunto di 85.800 euro e un reddito d’impresa di 22.600.

concessioni demaniali marittime

Quanto fatturano le concessioni demaniali marittime

E ancora maggiormente degni di nota sono le statistiche su come tali performance economiche siano cambiate nel tempo. Nel 2005, il primo anno per cui sono presenti dati, il fatturato medio di ognuno degli stabilimenti costruiti sulle concessioni demaniali marittime italiane era molto più basso, di 95.700 euro, per un reddito di 11.400. Si tratta di valori quasi esattamente della metà di quelli più recenti. Vuol dire che in 14 anni i guadagni sono raddoppiati.

A livello di ricavi l’incremento è stato di circa 32mila euro tra il 2005 e il 2010, e di 20 mila tra il 2010 e il 2015, anni caratterizzati da una crisi economica che giustifica tale rallentamento. Dopo il 2015 le entrate hanno di nuovo accelerato, aumentando di più di 31mila euro tra questa data e il 2018, e di ben 12 mila euro in solo un anno, tra il 2018 e il 2019. E tutto ciò è avvenuto nel contesto di una crescita anche quantitativa, ovvero del numero degli stabilimenti balneari.

Il fatturato dei concessionari è cresciuto

Le altre attività economiche, professionali, commerciali, non sono andate altrettanto bene. Nel complesso il fatturato medio di queste è cresciuto del 32,2% nei 14 anni tra il 2005 e il 2019, e il reddito d’impresa del 36,4%. Certo, in questo calderone vi è di tutto, dai servizi di ristorazione, cresciuto del 52%, alle farmacie, che hanno invece vissuto un calo. E tuttavia è significativo che le concessioni balneari stiano nel ristretto gruppo di attività che hanno vissuto le performance economiche più rilevanti in un periodo non semplice a livello complessivo.

La maggioranza ha un punteggio Isa inferiore a 8

Questo, naturalmente, dando per scontata la veridicità delle dichiarazioni fiscali, che come sappiamo spesso soprattutto in passato non fotografavano con esattezza la situazione reale. Gli stessi numeri del Mef dicono, infatti, che la maggioranza degli stabilimenti balneari ha un punteggio Isa (Indice sintetico di affidabilità) inferiore a 8. Gli Isa sono indicatori costruiti dall’Agenzia delle Entrate attraverso metodologie statistiche ed economiche che misurano la coerenza dei dati forniti da imprese e professionisti e quindi anche il loro grado di trasparenza e affidabilità. Chi ottiene un punteggio superiore a 8 può aderire a un regime premiale. E solo una minoranza ce la fa.

Sono affidabili le dichiarazioni dei concessionari?

Non fa eccezione il settore balneare, con 3.363 concessioni demaniali marittime con fatturato superiore a 30mila euro e 142 con uno inferiore. Si tratta del 61,3% del totale. Non stupisce il fatto che negli stabilimenti balneari più grandi e con Isa superiore a 8 i ricavi siano mediamente più alti, ovvero di 233.800 euro, contro, per esempio, i 16.400 di quei pochi in cui non si raggiungono né i 30 mila annui né questo livello Isa.

I concessionari che pagano meno di 2.500 euro di canone

Questi numeri devono essere confrontati con quelli dei costi sostenuti, e tra questi in particolare quelli dei canoni di concessione pagati. Che risalendo anche a decenni fa sono particolarmente bassi. L’Agcom in una lettera al Presidente del Consiglio di febbraio sottolinea che delle 29.689 concessioni ben 21.581 pagavano meno di 2.500 euro all’anno. Tra queste vi erano quindi anche quelle vinte a suo tempo da quegli stabilimenti che fatturano 200mila euro e più.

Nel complesso, calcola sempre l’Agenzia per la Concorrenza, il gettito dello Stato incamerato grazie a questi canoni è stato di 115 milioni di euro. Una cifra irrisoria se confrontata al giro d’affari stimato del settore, che per Nomisma arriverebbe a 15 miliardi comprendendo anche l’ingentissimo nero.

Lo Stato incassa pochissimo dalle concessioni demaniali marittime

Tra l’altro i canoni spesso non vengono regolarmente pagati e risultano 235 milioni ancora da riscuotere, risalenti agli anni tra il 2007 e il 2020. Appare chiaro che se le concessioni demaniali marittime fossero messe in vendita tramite asta al miglior offerente, lo Stato potrebbe spuntare affitti più alti, e più coerenti con le entrate di stabilimenti che in alcune aree d’Italia, per esempio in Sardegna, in Costa Smeralda, sono veri e propri resort di lusso.

La riforma delle concessioni demaniali marittime

Dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato è probabile un intervento anche della Corte di Giustizia Europea. Ma si attende anche una riforma complessiva che metta fine a una querelle imbarazzante per l’Italia a livello comunitario e che lascia nell’incertezza gli operatori del settore. Ma ovviamente non vi è accordo tra partiti e associazioni di categoria su come si potrebbe sbrogliare la matassa, con le organizzazioni che rappresentano le imprese che chiedono che in ogni caso non si deroghi dall’ultima proroga, quella fino al 2034, come stabilito dal legislatore con modificazione del decreto del  19 maggio 2020, n. 34.

Perché le concessioni balneari non investono

Quello che è certo è che la grande frammentazione della proprietà degli stabilimenti balneari e l’impossibilità di un cambio delle gestioni è alla base della carenza di investimenti che si è verificata anche in questo settore e in generale in quello del turismo. Sia perché i canoni così bassi non portano a intraprendere nuovi progetti che possano aumentare il valore aggiunto per ripagarli, sia soprattutto perché ad avere in carico le concessioni sono realtà piccole con limitati capitali a disposizione.

I dati si riferiscono al 2005-2021

Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze

Leggi anche: Gli stabilimenti balneari in Italia sono 6.823

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