L’avanzo primario italiano, una serie storica virtuosa

Il saldo tra entrate e uscite esclusi gli interessi è (quasi) sempre stato positivo

Lo aveva sottolineato anche la rivista tedesca Der Spiegel pochi anni fa: negli ultimi 30 anni gli italiani non sono stati la cicala sprecona come molti in Europa pensano. Non hanno dilapidato risorse spendendo più di quanto entrava. Né a livello privato né (ed è questo che più importa) a livello pubblico. La dimostrazione sta nei numeri dell’andamento storico dell’avanzo primario, ovvero la differenza tra le entrate e le uscite pubbliche misurato come percentuale sul Pil escludendo la spesa per gli interessi sul debito che dipende molto  da altri fattori.

Ebbene questo indicatore nel caso italiano è stato quasi sempre positivo dal 1991 in poi, tranne che nel 2009 in occasione della recessione seguita al fallimento di Lehman Brothers, quando scese al -0,7%, e, naturalmente che nel 2020 e 2021. In questi ultimi due anni la crisi pandemica ha inferto un duro colpo ai conti pubblici, facendo crollare le entrate e aumentando le uscite. Eppure siamo riusciti a essere più virtuosi di diversi nostri vicini.

Avanzo primario in Italia, la serie storica

A inizio anni ’90 la scelta di esserlo fu obbligata. Il debito saliva velocemente, e con esso gli interessi da pagare e l’unico modo per non fare decollare il deficit pubblico, che è appunto il prodotto della sottrazione tra avanzo primario e interessi, è accrescere il primo e fare in modo che superi i secondi. L’avanzo fu raggiunto più con un aumento delle tasse che con una frenata della spesa. Si trattava soprattutto di provare a portare l’Italia all’interno della moneta unica, attraverso il raggiungimento degli obiettivi del Trattato di Maastricht. É per questo che nel 1997 s raggiunse il valore record del 6,7% di avanzo primario, con la “tassa per l’Europa”.

Dopo la “tassa per l’Europa” l’avanzo primario cala

Raggiunto l’obiettivo poi però vi fu una discesa. Per otto anni l’avanzo primario diminuì. Questo fu dovuto non tanto al fatto che la crescita (il denominatore) fosse sostenuta (non lo era) ma al fatto che gli interessi sul debito grazie all’ingresso nell’euro stavano crollando. Così, per avere un deficit (avanzo primario meno interessi, ricordiamo) inferiore al 3% del Pil, non c’era più bisogno di tenere l’avanzo così alto come a inizio degli anni ’90. Questo permise ai governi di non fare riforme impegnative (ad esempio delle pensioni) e di concedere crescite della spesa costanti, rinnovando in modo generoso per esempio i contratti del pubblico impiego.

Il calo dell’avanzo primario non ci consentì di avere un pareggio di bilancio, ossia deficit uguale a zero. Questo fu raggiunto in altri Paesi, ad esempio la Spagna, che infatti grazie anche al boom economico che viveva ci superò dal 2003 al 2007 anche a livello di avanzo primario.

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Nel 2007 un avanzo primario del 3,4%

Se si va a vedere la serie storia dell’avanzo primario in Italia si scopre altro. Nel 2007 e 2008, a causa dell’aumento della crescita e della pressione fiscale, siamo tornati ad avanzi primari molto alti, del 3,4% nel 2007 e del 2,3% nel 2008. Questo fu provvidenziale per la crisi successiva. Riuscimmo a limitare il crollo dell’avanzo solo a un -0,7% nel 2009, e poi tornò positivo dal 2010 in poi. Questo risultato fu simile a quello tedesco. La Germania dal 2007 in poi aveva cominciato a mettere più disciplina nei propri conti pubblici, realizzando anch’essa un avanzo, che però fino al 2014 non fu mai molto diverso da quello italiano.

I sussidi del 2009 hanno piegato l’avanzo primario

C’è anche da dire che rispetto a Spagna e Francia per esempio, dove l’avanzo sul Pil crollò al -9,6% e al -4,7% nel 2009, in Italia sono state introdotte meno misure anti-crisi in termini di spesa pubblica e sussidi. Anche per questo i conti pubblici tennero. Le manovre di austerità furono poi esattamente quelle che portarono nel 2012, dopo il Salva Italia, l’avanzo primario a essere il più alto d’Europa, al 2,3%, assieme a quello tedesco. La sfiducia verso di noi e l’altissimo debito come a inizio anni ’90 ci costringeva a dimostrare di essere più virtuosi degli altri.

avanzo primario italia

Con la ripresa l’avanzo primario non è più cresciuto

La ripresa, dal 2013 in poi, ha visto molti Paesi seguire una strada simile a quella da noi già percorsa da tempo. Con un incremento dell’avanzo primario per incontrare i criteri più stringenti della Commissione Europea. Gli aggiustamenti di molti Stati sono stati anzi più rigorosi dei nostri negli ultimi anni, aiutati da una crescita del Pil più sostenuta di quella italiana.

Quando abbiamo smesso di puntare al pareggio di bilancio

Nel nostro Paese invece si è scelto solo di mantenersi al di sotto del 3% di deficit senza puntare al pareggio di bilancio, per evitare di fare ulteriore austerità che non sarebbe stata accettabile da parte dell’opinione pubblica. Il risultato è che nel 2019, prima del Covid, non eravamo più il Paese con la migliore differenza tra entrate e uscite, ma solo dodicesimi. Al primo posto vi era la Grecia, costretta dal risanamento dalla troika.

Questo tuttavia non significa che abbiamo ripreso a fare le cicale come negli anni ’70 e ’80 perché in realtà la spesa è salita di poco. Purtroppo il problema è sempre quello, la crescita del Pil più bassa d’Europa. Ma nonostante questo siamo rimasti virtuosi, anche più di molti nostri vicini, come Francia e Spagna, che anche negli ultimi anni prima della pandemia hanno avuto un disavanzo invece che un avanzo.

Gli effetti della pandemia

Il Covid ha poi sconvolto, oltre alle vite di tutti i cittadini, anche i conti degli Stati. La crisi economica che ha provocato è stata quasi ovunque più profonda di quella del 2008-2009, al punto che il PIL è crollato, nel caso del nostro Paese, dell’8,9%.

Il risultato è stato uno scivolamento delle entrate, che sono scese molto al di sotto delle uscite. Queste ultime, del resto, non sono state tagliate, ma in alcuni ambiti addirittura aumentate, per aiutare le fasce di popolazione più colpite dalle restrizioni.

Di conseguenza nel 2020 il nostro avanzo primario è crollato a -6,1%, per poi migliorare a -3,7% nel 2021. L’anno scorso il dato è stato in linea con quello dell’area euro, -3,6%. Sono stati diversi, infatti, i Paesi che hanno avuto saldi tra entrate e uscite peggiori, la Francia, -5,1%, la Spagna, -4,7%, la Grecia, con -5%, il Belgio, -3,9% e persino l’Austria, -4%. Un risultato degno di nota considerando che la recessione legata al Covid ha colpito l’Italia molto più della media.

Avanzo primario, qual è il vero significato

Sull’avanzo primario e sul concetto di “frugalità” bisogna però intendersi. Il presidente Sergio Mattarella incontrando il presidente ungherese Janos Ader, aveva citato tempo fa proprio i dati dell’andamento storico dell’avanzo primario italiano sostenendo che, siccome è positivo da 20 anni, esso è un segno di “frugalità” da parte dell’Italia. Ovvero, come abbiamo detto all’inizio, l’Italia spende meno di quello che incassa, sono gli interessi sul debito che limitano la possibilità di investire sull’economia italiana, visto che dobbiamo pagare gli interessi a chi compra i titoli del nostro debito pubblico.

L’Italia è frugale nei conti pubblici?

Questo è certamente vero: la serie storica dell’avanzo primario dicono che l’Italia è un Paese frugale, più frugale dei Paesi del Nord Europa che vorrebbero che terminasse prima o poi (meglio prima che poi) il sostegno ai conti pubblici dei Paesi europei da parte della Banca Centrale Europea. La quale, comprando, da ormai una decina d’anni, i Btp italiani, evita che gli interessi aumentino e mandino letteralmente in tilt (per non dire di peggio) i conti nazionali. E questo succederebbe in presenza di una crescita economica da prefisso telefonico (a parte che nella fase di rimbalzo dalla crisi pandemica); un enorme debito pubblico e una sostenuta spesa corrente. Quindi, se è certamente vero che l’Italia è un Paese “frugale”, come ha detto Mattarella, è anche vero che i governi che si sono succeduti dopo l’ingresso dell’Italia nell’euro non sono stati abbastanza coraggiosi nell’affrontare quelle riforme che avrebbero messo in sicurezza il debito pubblico rendendolo sostenibili anche per un’economia stagnante da decenni.

Il debito pubblico e il Trattato di Maastricht

Il fatto che questa “frugalità” di cui ha parlato Mattarella non sia da prendere alla lettera è dimostrato dall’andamento del debito pubblico italiano. Ovvero: è vero che anno dopo anno l’Italia spendeva (in pensioni, sanità, scuola, eccetera) meno di quanto incassava dalle tasse (anche grazie all’aumento di queste ultime), ma nel frattempo emetteva debito pubblico a piene mani sul quale, appunto, come detto, paghiamo interessi straordinari. Basti dire che dall’adesione del Trattato di Maastricht, l’Italia ha violato gli accordi sul rapporto tra debito e Pil per 23 anni consecutivi.

I dati si riferiscono al periodo 1995-2019

Fonte: Eurostat

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