Regioni rosse, in 640mila lavorano nei settori bloccati

In Valle d’Aosta il 19,5% dei dipendenti è occupato nelle attività che non possono aprire

Da oggi gli italiani sono ripiombati in un nuovo lockdown, varato dal governo per fare fronte all’aumento dei contagi di Covid e soprattutto all’incremento dei ricoverati in reparto e in terapia intensiva e dei decessi. A differenza della prima ondata i provvedimenti non sono uguali sul territorio nazionale, ma le regioni sono state divise in tre categorie, gialla, con rischio moderato, arancione, a rischio intermedio, e regioni rosse, a rischio massimo. Sono stati usati parametri scientifici che hanno anche generato più di di una polemica.

Cosa succede nelle regioni rosse

Fatto sta che a oggi vi sono sei regioni all’interno delle categorie con maggiori restrizioni, le cosiddette regioni rosse e arancioni, in cui bar e ristoranti per esempio sono chiusi anche prima delle 18 a differenza delle altre: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Calabria, Puglia e Sicilia.

Questo settore, quello della ristorazione e degli alloggi è il più colpito, assieme a quello delle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento. A parte poche deroghe, che riguardano per esempio il delivery e lo sport professionale, quasi tutti gli addetti sono costretti a stare fermi o alla cassa integrazione.

Come si vede dall’infografica si tratta di centinaia di migliaia solo nelle regioni con più restrizioni. Per l’esattezza 640.590 persone, su un totale di un milione e 747 mila occupate in questi ambiti in tutta Italia. È il settore alloggi e ristorazione di gran lunga quello con più addetti con 572.550 lavoratori in Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Calabria, Puglia, Sicilia.

In Lombardia l’impatto delle chiusure è minore

La Lombardia, del resto la più popolosa, ne conta da sola poco meno di metà, 278.372, così come conta poco meno di metà dei lavoratori de settore sport, cultura e divertimento, 33.708 su 68.040 compresi nelle regioni rosse e arancioni. In questo caso si deve sottolineare che le restrizioni per questo ambito sono piuttosto uniforme sul territorio nazionale in realtà. In Piemonte invece sono 95.477 coloro che lavorano in hotel, bar e ristoranti, e 10.314 quelli attivi in ambito sportivo o nella cultura e nell’intrattenimento.

E tuttavia quello che conta maggiormente è l’impatto sul tessuto economico e occupazionale di questi settori, ancora più del numero assoluto degli addetti. E si nota bene come in Lombardia l’impatto sia inferiore che in Piemonte e nelle altre regioni. Solo il 6,76% dei lavoratori lombardi è occupato nella ristorazione e negli hotel, mentre in Piemonte sono il 6,99% e in Valle d’Aosta, regione molto dipendente dal turismo, addirittura il 19,54%. Qui sono 7.163 persone attive negli hotel, nei bar e nella ristorazione e costituiscono una parte importantissima dell’economia, assieme ai 1.353 del settore sport, cultura e divertimento, che sono il 3,69% del totale, contro lo 0,82% in Lombardia.

Il Mezzogiorno colpito in modo maggiore

Anche nel Mezzogiorno l’impatto di tali restrizioni è maggiore che in Lombardia e nel resto d’Italia, non solo e non tanto per l’importanza del turismo, ma per la minore presenza di altre tipologie di occupazione, quella nell’industria o nei servizi avanzati per esempio. Essendo più limitato il numero totale degli occupati l’importanza relativa di quelli impiegati per esempio nei bar e nei ristoranti è maggiore. E per esempio i 30.749 che lavorano in questo ambito in Calabria rappresentano l’11,92% del totale complessivo dei lavoratori della regione, cui si aggiungono i 3.353 della cultura, dello sport, del divertimento.

Anche in Puglia e Sicilia, che non sono regioni rosse ma comunque arancioni, sono più del 10% di tutti gli occupati, rispettivamente il 10,87% e il 10,8%, gli addetti del settore alloggi e ristorazione. E 82.414 e 78.374 in valore assoluto.

Per costoro è stato varato il decreto Ristori, che include anche il prolungamento della Cassa Integrazione e il rafforzamento del Reddito di Emergenza, ma alla luce dell’ultimo DPCM si parla di un decreto Ristori bis.

Del resto questi settori non sono solo i più colpiti dalla crisi attuale, ma anche i più fragili a livello economico occupazionale, anche in epoca pre-Covid. Quelli con margini minori, con realtà più piccole della media e con reddittività inferiore, e con la maggiore percentuale di contratti a termine, oltre che con una porzione significativa di giovani che vi sono occupati

I dati si riferiscono al 2018

Fonte: ISTAT

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