Disuguaglianza sociale, l’Italia tra le peggiori nella Ue

Lo ha detto anche Draghi: l’indice di Gini è cresciuto di 4 punti nel 2020

La pandemia da coronavirus ha aumentato la disuguaglianza nei redditi, lo sappiamo. Ma abbiamo anche i dati per dimostrarlo: quelli citati nel discorso di Draghi al Senato per ottenere la fiducia: la disuguaglianza, misurata dall’indice Gini sul reddito da lavoro equivalente, sale da 34,8 nel 2019 a 36,5% nel primo trimestre 2020 e 41,1% nel secondo trimestre 2020. Lo dice lo studio della Banca d’Italia dal titolo “L’impatto della pandemia sui redditi da lavoro: il caso italiano”.

L’indice Gini misura la disuguaglianza sociale

Già nel primo trimestre del 2020 l’indice di Gini in Italia era aumentato di 2 punti. Ma per fare un confronto internazionale non abbiamo dati così aggiornati: ci dobbiamo accontentare di quelli Eurostat del 2018. Da quelle analisi emerge che l’Italia è il secondo Paese con la più alta disuguaglianza nell’Europa Occidentale, dopo la Spagna.

Ma è necessario fare una premessa: che cosa è l’indice di Gini? É l’indicatore internazionalmente riconosciuto per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, perché calcola quanto la curva di aumento del reddito stesso si discosta dalla perfetta uguaglianza tra poveri e ricchi. L’indice di Gini va da un minimo di 0 a un massimo di 100: quando è 0 significa che i redditi sono tutti uguali, quando è a 100 significa che i redditi sono massimamente diseguali. Il coefficiente porta il nome dello statistico italiano Corrado Gini che lo ha formulato (1884-1965).

L’indice di Gini in Italia nel 2018

Verrebbe da chiedersi quali sono gli effetti della crisi economica scatenata dalla pandemia di coronavirus sulla disuguaglianza e di conseguenza sull’indice Gini. Sì, gli effetti ci sono. E lo dicono anche le stime della Banca d’Italia. Adesso, però, accontentiamoci dei dati più vecchi per fare un confronto internazionale.

Davanti al nostro Paese troviamo gli Stati dell’Est, come la Bulgaria (come si vede nel grafico in alto), che nel 2018 si è piazzata al primo posto con un punteggio di 40, poi Lituania, Lettonia, Romania e Spagna (33). Sono tutti Paesi che hanno vissuto una intensa crescita economica, che ha premiato nella redistribuzione del reddito in modo sproporzionato fasce di popolazioni piuttosto ristrette, quelle che lavorano in settori in contatto con l’estero, chi vive nella capitale, lasciando indietro pensionati o popolazioni rurali.

L’indice di concentrazione di Gini misura la distribuzione del reddito

Il welfare redistributivo in questi Paesi tra l’altro è molto scarso. In alcuni casi l’indice di concentrazione di Gini (che misura, come detto, il grado di concentrazione dei redditi in poche mani) è aumentato molto negli ultimi 20 anni, come in Bulgaria, dove era solo di 25 nel 2000, mentre in altri era salito già a fine anni 2000 e poi è rimasto stabile come in Romania. Nell’ineguale redistribuzione della ricchezza l’Italia non ha l’alibi della crescita come i Paesi dell’Est. Nel nostro caso influisce il crescente divario tra Nord e Sud, che è aumentato dopo la crisi economica, e quello tra le grandi città come Milano e la provincia.

Il vero significato di sperequazione

Non siamo mai stati tra i Paesi con minore disuguaglianza, cioè sperequazione tra diversi individui, ma invece che al sesto posto eravamo per esempio al decimo, come nel 2008, quando l’indice di Gini in Italia 2018 era di 31,2 e ci superavano anche la Grecia, il Regno Unito, la Spagna e il Portogallo, che ora invece sono meno diseguali di noi. Occorre, però, contestualizzare questi dati: l’Europa è il continente meno diseguale del mondo. Come abbiamo visto in questa analisi negli Stati Uniti, ad esempio, la diseguaglianza è storicamente più marcata. E, a livello mondiale, se pensate che la disuguaglianza sia cresciuta, vi state sbagliando.

indice di Gini Italia
Come misurare la disuguaglianza sociale

L’indice di Gini non è l’unico metodo per calcolare la disuguaglianza. Gli istituti nazionali di statistica in Europa usano anche un altro indicatore: quello S80/S20. Per misurare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è possibile ordinare, infatti, gli individui dal reddito equivalente più basso a quello più alto, classificandoli in cinque gruppi (quinti). Il reddito equivalente non ha nulla a che vedere con il reddito medio pro capite.

La suddivisione dei redditi in quintili

Il primo quinto comprende il 20% degli individui con i redditi equivalenti più bassi, il secondo quelli con redditi mediobassi e così via fino all’ultimo quinto, che comprende il 20% di individui con i redditi più alti. Il rapporto fra il reddito equivalente totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito (rapporto noto come s80/s20) fornisce, dunque, una prima misura sintetica della disuguaglianza.

La redistribuzione della ricchezza in Italia

Se si fa riferimento alla distribuzione dei redditi nel 2018 questo rapporto in Italia è pari a 6, valore sostanzialmente stabile rispetto al 2017. Includendo nei redditi anche gli affitti figurativi (quelli che una famiglia pagherebbe se non vivesse in una casa di proprietà) il rapporto scende a 5,1. Nel Mezzogiorno la disuguaglianza reddituale è più accentuata, con il 20% più ricco della popolazione che ha un reddito, inclusivo degli affitti figurativi, pari a 5,8 volte quello della fascia più povera. Il dato più basso si registra nel Nord-est (3,9), seguito dal Centro (4,4) e dal Nord-ovest (4,5).

I dati si riferiscono al: 2018

Fonte: Eurostat

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Il reddito medio degli italiani è di 21.600 euro

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