In 39 anni solo 4 promozioni: la storia del rating italiano è un lungo crollo
Il 17 ottobre 2025 l’agenzia DBRS Morningstar ha promosso il rating dell’Italia da BBB (high) ad A (low), con trend stabile. Tradotto: non si prevedono cambiamenti significativi nel giudizio di credito (né miglioramenti né peggioramenti) nei prossimi due anni. Una promozione che pesa perché rappresenta la bussola che gli investitori hanno a disposizione per orientarsi e scegliere se acquistare o meno titoli di debito, i bond, dall’Italia. Il nuovo giudizio, infatti, indica una valutazione più positiva sull’affidabilità finanziaria del Paese e sulla sua capacità di ripagare il debito pubblico.
È il primo ritorno dell’Italia nella fascia “A” dal 2016 e arriva nonostante la “botta” dei bonus edilizi sui conti pubblici. Tra il 2020 e il 2024 queste misure – definite dal governo Meloni “il più grosso sperpero di denaro pubblico della storia italiana” – sono costate 229 miliardi di euro. Solo nel 2024 l’impatto per lo Stato è stato di 42 miliardi, mentre nei primi mesi del 2025 si sono aggiunti altri 26 miliardi al debito.
Le altre agenzie di rating: la valutazione di Standard & Poor’s e Fitch
L’upgrade di DBRS Morningstar si aggiunge a quelli di Standard & Poor’s e Fitch Ratings, che nel 2025 hanno entrambe rivisto al rialzo il giudizio sull’Italia. S&P ha portato il rating da BBB a BBB+ il 12 aprile, mentre Fitch ha fatto lo stesso a settembre 2025. Entrambe le agenzie, inoltre, segnalando un outlook stabile.
Moody’s, invece, ha confermato il giudizio Baa3 – invariato dal 2018 – che rappresenta l’ultimo gradino della categoria “investment grade”. In pratica, la soglia che separa gli investimenti relativamente sicuri da quelli di categoria speculativa, noti anche come “junk bond“. Tuttavia, Moody’s ha migliorato l’outlook da stabile a positivo, segnalando la possibilità di un futuro upgrade se il percorso di consolidamento dei conti dovesse proseguire.
Tuttavia la storia dei giudizi sull’Italia da parte delle agenzie di rating internazionali non induce molto all’ottimismo. Se venisse visualizzata si vedrebbe una lunga inesorabile discesa. E’ quello di cui si è occupato Truenumbers.
Il rating sull’Italia
Il grafico sopra mostra l’andamento dei “voti” che le tre maggiori agenzie di valutazione della qualità del debito sovrano, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, hanno attribuito all’Italia dal 1986 ad oggi.
Truenumbers ha trasformato le lettere in numeri partendo da un massimo di 21 per la “tripla A” fino a 1 per la “D” (la “C” per Moody’s), quindi “AA+” (“Aa1” per Moody’s) corrisponde a 20 punti, “AA” (“Aa2” per Moody’s) a 19 punti e così via. Per esempio, l’ultimo voto di Standard & Poor’s e Fitch, “BBB”, in numeri è diventato 13. Non vengono presi in considerazione gli “outlook”, cioè le “previsioni” che ogni singola società di rating assegna all’andamento dell’economia e della solidità del debito. Nel grafico sono, in altre parole, indicati solo i valori numerici del voto vero e proprio.
Quando avevamo il rating “tripla A”
Il risultato è il grafico sopra dove emerge un dato terribile: in 37 anni le tre agenzie ci hanno promosso (ovvero, hanno migliorato il loro giudizio) solo 3 volte. Tutte le altre volte che ci hanno messo sotto osservazione sono state bocciature (o, al limite, non hanno modificato il giudizio). Basta guardare il grafico interattivo dove si possono isolare i giudizi di ogni singola agenzia semplicemente cliccando sul nome delle altre.
Eppure nel 1986 Moody’s (linea blu) assegnava ai nostri titoli di Stato la valutazione massima, l’agognatissima e famosa “tripla A” cioè 21 nostro caso. Il rapporto tra debito pubblico e Pil stava crescendo da alcuni anni, era arrivato quasi all’80%, con un incremento del 24% in soli 5 anni. Si era trattato di un aumento causato soprattutto dal celebre divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, che aveva messo fine all’assorbimento dei titoli del debito pubblico non collocati sul mercato da parte della nostra banca centrale. Titoli di Stato che avrebbero alimentato il debito pubblico, che continuava a cresceva provocando l’effetto “palla di neve”, ovvero il circolo vizioso prodotto dall’incremento degli interessi (anche a causa della riduzione dell’inflazione) che a loro volta dovevano essere ripagati da altro debito.
Tuttavia vi era la speranza legata a un risanamento dei conti, alla diminuzione del disavanzo primario e a una maggiore crescita, che infatti dal 1984 era ripartita.
La bassa crescita ha peggiorato i rating sull’Italia
Nel corso del tempo le agenzie si sono rese conto di come fosse troppo tardi per un risanamento vero, nonostante il raggiungimento nel 1991 dell’avanzo primario, e in corrispondenza di un indebolimento della crescita e della crisi della lira nel 1992 hanno peggiorato il rating sull’Italia.
Moody’s in particolare è stata la più “spietata”, diminuendolo a “Aa3”, cioè 18 nella nostra scala, seguita da Fitch nel 1995, mentre Standard & Poor’s si è limitata a un downgrade a “AA”. Negli anni successivi il rapporto debito/Pil è lentamente sceso da quasi il 120% del 1994 al 103,9% del 2007, sia grazie al crollo dei tassi di interesse, dovuto all’ingresso nell’euro, sia al mantenimento di un avanzo primario. Questo si è riflesso in un miglioramento del rating delle agenzie, con Moody’s e Fitch che nel 2002 lo hanno fatto risalire allo stesso livello di Fitch, ovvero “Aa2” e AA.
La bassa crescita, però, era divenuta una costante della nostra economia e ciò ha minato la fiducia dei mercati internazionali, è per questo che Standard & Poor nel 2004 e Fitch nel 2006 hanno di nuovo peggiorato il loro giudizio, affibbiando un “AA-“, corrispondente al 18 nella scala Truenumbers. Proprio nel 2006 S&P ha effettuato a sua volta un altro downgrade, a “A+”.
Il ruolo delle crisi finanziarie
Il colpo di grazia lo ha dato la grande crisi finanziaria del 2008-09, che nel caso dell’Italia è poi scaturita in quella del 2011-13. La recessione che ci ha colpito ha fatto schizzare il rapporto debito/Pil oltre il 135%, e i livelli di spread raggiunti nel 2012 hanno diminuito l’affidabilità dei nostri titoli. La conseguenza è stata un ulteriore netto downgrade: Moody’s ha abbassato il rating sull’Italia a “Baa2”, corrispondente al 13 nella scala di Truenumbers, S&P nel 2014 è andata oltre, arrivano a “BBB-“, ovvero 12, per risalire a “BBB” nel 2017, anno in cui anche Fitch ci ha fatto raggiungere lo stesso livello.
Non ci siamo più risollevati da quei rating, e, anzi, nel 2018 Moody’s ha ancora peggiorato il proprio giudizio, fino all’attuale “Baa3” (12 nella nostra scala). L’emergenza pandemica ha influito poco: Fitch ci ha declassati nel 2020 a “BBB-“, ma solo per un anno e mezzo, fino a dicembre 2021. È per questo che oggi siamo di un soffio sopra la soglia che ci divide dall’area di “no investment”. Finire al di sotto sarebbe un colpo durissimo per la nostra stabilità in un momento in cui il rapporto tra debito e Pil, dopo il Covid, è ancora superiore al 140% e abbiamo un disperato bisogno di vendere i nostri titoli di Stato.
I dati si riferiscono al: 1986-2025
Fonte: Dati delle singole agenzie
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