I Paesi più poveri del mondo sono Burundi e Somalia

In Lussemburgo il Pil pro capite è 153 volte più alto. La classifica completa

Il mondo è molto diseguale, lo è sempre stato, e continua a esserlo oggi nonostante la crescita tecnologica e la diffusione del benessere anche al di fuori dall’Occidente, anzi forse proprio per questo. La distanza tra i Paesi già ricchi, quelli emergenti e i Paesi più poveri del mondo rimane ampia e in alcuni casi il divario si amplia.

La classifica dei Paesi più poveri del mondo

Nella classifica dei Paesi più poveri del mondo troviamo all’incirca gli stessi che avremmo trovato 10 o 20 anni fa: Burundi, Somalia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e altri Stati africani che nel ranking del Pil pro capite si trovano irrimediabilmente in fondo da tempo. Questo nonostante questo valore sia calcolato tenendo conto del potere d’acquisto, quindi considerando il fatto che determinati servizi e prodotti nei Paesi con minore reddito costano meno.

Nonostante ciò nel Burundi il Prodotto Interno Lordo per abitante è solo di 771,2 dollari secondo i dati della Banca Mondiale che si riferiscono al 2020. In Somalia si sale a 875,2, e in Repubblica Centrafricana a 979,6. Nel confinante Congo si giunge a 1.131,1, mentre in Niger a 1.262,6. Tutti i 10 Paesi più poveri sono nell’Africa Subsahariana, e si va dal Sahel, con il Ciad dove il Pil pro capite è di 1.603,4, all’isola del Madagascar, con 1.593,1.

Quali sono i 10 Paesi più poveri del mondo e perché

Sulle ragioni della povertà in quest’area del mondo sono stati scritti migliaia di libri e ci sono cattedre universitarie che se ne occupano. Gli economisti oscillano tra le responsabilità delle ex potenze colonizzatrici, che ora sfrutterebbero le risorse locali senza creare sviluppo, a quelle della leadership locale, molto spesso corrotta, a infinite vie di mezzo in cui i due fattori non si escludono tra loro. Quello che è certo è che a questi si accompagnano conflitti armati che impediscono l’arrivo di aziende straniere, al di là di quelle del settore minerario, o la costruzione di infrastrutture indispensabili anche all’economia, o un’attività di formazione e istruzione delle nuove generazioni.

I Paesi più poveri e le guerre

Così il Burundi ha vissuto una vera e propria guerra civile tra il 1993 e il 2005 che ha rallentato moltissimo il progresso del Paese, e ultimamente, tra il 2015 e il 2018 altri disordini seguiti alla decisione del presidente Nkurunziza di presentarsi per un terzo mandato aggirando la regole dei due mandati, un caso comunissimo nei Paesi africani. Dove spesso presidenti trasformatisi in dittatori di fatto cercano di rimanere al potere il più possibile violando le Costituzioni.

Della Somalia e della sua lunghissima guerra intestina si è sentito parlare di più nei media. Anche dopo la fine del conflitto sono rimaste sacche di guerriglieri islamisti nel Paese, che del resto continua a essere spaccato, diviso tra entità indipendenti e semi-indipendenti. Per la Repubblica Centrafricana la situazione è simile, con scontri che da fine 2012 coinvolgono truppe governative e guerriglieri di varie fazioni, spesso in lotta tra loro. In quest’ultimo caso si sovrappongono anche lotte religiose, tra musulmani e cristiani, visto che in questa area corre il confine tra le zone di maggiore influenza delle due fedi in Africa.

La malnutrizione nei Paesi più poveri del mondo

Conflitti ancora più estesi si sono verificati e qua e là sono ancora presenti nella vastissima Repubblica Democratica del Congo, grande quasi otto volte l’Italia, con scarsissime infrastrutture e un governo che non riesce a controllare tutte le province. Tipicamente queste guerre non hanno un andamento classico, si tratta di scontri locali, magari seguiti da un periodo di pace precaria, con piccoli gruppi armati che si spostano all’interno di una regione, rimanendo alla macchia per mesi prima di attaccare. Sono quelle che vengono chiamate guerre “a bassa intensità”, non per questo però meno dannose per l’economia e la società civile.

La distruzione e la povertà che provocano portano queste aree a rimanere a livelli di sottosviluppo che sono ben visibili negli indicatori che riguardano soprattutto i più giovani. Non è un caso che per l’Unicef i Paesi più poveri del mondo sono gli stessi in cui si ritrova la maggiore percentuale di bambini che subiscono un arresto della crescita a causa della malnutrizione. Che nel caso del Burundi per esempio è del 57,6%. E sopra il 40% in Repubblica Centrafricana, Congo, Madagascar, Niger.

Ancora peggio, tra le ricadute della povertà vi è l’altissimo tasso di mortalità infantile. La Somalia è quello che ha il secondo maggiore. Qui muoiono mediamente ogni anno 117 bambini sotto i 5 anni ogni 1000. Tanto per fare un paragone in Italia sono solo 3,1. In Congo e in Liberia invece, tanto per citare due dei 10 Paesi più poveri al mondo, sono 84.

paesi poveri

Il Pil pro capite del Burundi e quello del Lussemburgo

Il grado di povertà di questi Stati è reso ancora più evidente dal confronto con quelli che invece sono i più ricchi del mondo. Come si vede dalla nostra infografica al primo posto per Pil pro capite c’è il Lussemburgo, con 118.359 dollari a persona, ben 153 volte in più che in Burundi. Anche se naturalmente questo valore è distorto dalla presenza nel Granducato delle sedi di molte multinazionali che lì si insediano, almeno sulla carta, per motivi fiscali, è innegabile che il Paese sia in testa alla classifica del benessere a livello mondiale.

Dopo vengono, in parte per motivi simili, Singapore, Irlanda, Qatar, dove invece il Pil pro capita va dagli 89 ai 100 mila. Più del doppio che in Italia, dove arriviamo a 41.840 dollari a testa, sempre usando il criterio della Parità di Potere d’Acquisto. Tra i Paesi più ricchi vi sono anche la Svizzera e il piccolo principato del Brunei, che si è arricchito come altre realtà simili con il petrolio, che superano gli Stati Uniti, dove il reddito per abitante è di 63.544 dollari pro capite. E poi la Norvegia, la Danimarca e Hong Kong, che però forse ancora per poco sarà considerata un’entità a parte rispetto alla Cina.

La disuguaglianza nei Paesi più poveri del mondo

Più della disuguaglianza tra diverse aree del mondo a essere dolorosa, e soprattutto inefficiente per lo sviluppo economico, è quella interna, tra gli abitanti della stessa comunità. E questa non a caso è particolarmente alta nei Paesi più poveri del mondo. In Burundi per esempio il 10% più ricco possiede il 48,4% del reddito nazionale, in Italia tale percentuale è del 32,6%, nonostante sia cresciuta negli ultimi 40 anni.

Nel Regno Unito, notoriamente più diseguale dell’Italia il decile più facoltoso della popolazione ha il 35,6% del reddito. Nel Congo come in Burundi ne ha in mano poco meno del 50%, e in Repubblica Centrafricana addirittura il 64,9%. La mancanza di risorse porta, oltre che a guerre e corruzione, che incidono in modo più che proporzionale proprio sui più poveri, anche all’impossibilità di creare un minimo di stato sociale e di welfare che possa redistribuire la ricchezza, e alleviare la povertà estrema. E come in un circolo vizioso questa povertà estrema priva di opportunità chi ne è colpito. Le famiglie non possono così mandare i figli a scuola, inviandoli invece nei campi, cosa che non fa che perpetuare la condizione di indigenza nel lungo periodo.

La povertà estrema impedisce anche l’emigrazione

E spesso questa impedisce anche di trovare le risorse per emigrare. Le recenti ondate migratorie infatti hanno avuto spesso come protagonisti africani che hanno investito presso intermediari senza scrupoli migliaia di dollari raccolti per anni allo scopo, e si è trattato di soggetti poveri, sì, ma non al punto da non riuscire a racimolare le risorse iniziali per partire. Nei Paesi più poveri del mondo però è difficile anche questo. 

Infatti Burundi e Repubblica Centrafricana non sono in testa ai Paesi da cui partono migranti alla ricerca di fortuna in Europa. Se vedremo in futuro tra coloro che sbarcano a Lampedusa anche persone provenienti da queste aree forse vorrà anche dire, paradossalmente, che sarà cominciato un miglioramento economico per tali nazioni.

I dati si riferiscono al: 2020

Fonte: Banca Mondiale

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