I non performing loans italiani sono il 19,2% di quelli europei

Nel 2015 erano il 34%. Nelle nostre banche il 5% dei crediti sono inesigibili

A dispetto della crisi economica scatenata dalla pandemia lo stato di salute delle banche non sembra avere subìto gravi conseguenze, almeno fino alla fine del terzo trimestre del 2020. Ci riferiamo ad uno degli indicatori che sono sempre stati più delicati in questo ambito, il Npl Ratio, ovvero il rapporto tra Npl (non performing loans) e il totale dei crediti concessi da una banca. Ovvero, per essere più chiari: la percentuale di crediti inesigibili sul totale dei prestiti che una banca ha concesso ai propri clienti. Perché il non performing loans ratio è importante? Perché uno degli indicatori della solidità di una banca. Se il rapporto è troppo alto significa che la banca sarà costretta a coprire le perdite oppure a a vendere i non performing loans a società specializzate nel recupero. Ma, vendendo, subirà comunque una perdita dato che la finanziaria in questione non comprerà il credito deteriorato allo stesso prezzo al quale lo ha venduto la banca al cliente. Vediamo i dati dell’Eba, European Banking Authority.

Ma che cosa sono i non performing loans? Sono quei crediti ormai non più esigibili, verso soggetti in stato di insolvenza. Non si tratta solo di crediti scaduti, ma di quelli che non saranno più riscossi se non in minima parte. Non a caso vengono chiamate anche sofferenze.

Non performing loans

La classifica dei Paesi con più non performing loans

Nel nostro Paese nel momento peggiore il non performing loans ratio è arrivato a toccare il 18%, si è trattato di uno dei dati peggiori d’Europa dopo quelli di Grecia e Cipro. Ovviamente la miccia per questa fragilità era stata la crisi economica precedente, che aveva gettato sul lastrico aziende debitrici o non più in grado di onorare i crediti ottenuti. Il lavoro di risanamento effettuato negli anni successivi e la pur flebile ripresa hanno però dato i propri frutti.

Dopo il picco del 2015 e l’inversione di tendenza del 2016 c’è stata un’accelerazione della riduzione dei Non Performing Loans, che nel 2019, alla vigilia dell’emergenza Covid, erano scesi a fine anno al 6,7% del totale. Come si vede dalla nostra mappa si trattava comunque di un dato molto superiore di quello medio europeo, che era del 2,7%.

I non performing loans in Italia e in Europa

I Paesi più virtuosi erano la Germania e la Repubblica Ceca con un non performing loans ratio dell’1,3%, e ancora più la Svezia, con 0,5%, mentre Grecia e Cipro con rispettivamente 35,2%, 19,3% e 8,3%, rimanevano gli unici con performance peggiori di quelle italiane. Questi erano i numeri del dicembre 2019. Dopo di allora il Npl ratio è diminuito proprio dove era più alto, nonostante la pandemia, mentre è rimasto stabile se era ormai a un livello fisiologicamente bassissimo.

Quanti crediti inesigibili ci sono nelle banche italiane

Così nel settembre 2020 in media in Europa era sempre dell’1,3%, come nel Regno Unito, mentre in Germania era dell’1,2%, e invece del 2,3% in Francia, in leggero calo dal 2,5% di nove mesi prima, e del 3% in Spagna, contro il 3,2% del dicembre 2019. In Italia invece la riduzione di questo indice è stata un po’ più importante. È diminuito fino al 5,4%, con un calo dell’1,3%. Ancora meglio ha fatto la Grecia portandolo al 28,8% dal 35,2%, e il Portogallo, in cui è sceso dal 6,5% al 5,5%.

I non performing loans italiani

Questo andamento è stato importante soprattutto perché ha ridimensionato il ruolo delle banche italiane come miccia principale di un’eventuale crisi finanziaria europea: difatti se nel 2015 il 34% di tutti i non performing loans europei erano italiani, questa percentuale è scesa nel 2020 al 19,2%. Una cifra ancora molto alta, superiore alla quota di Pil che il nostro Paese rappresenta, ma comunque non più così estrema.

Cosa succede quando si vendono i non performing loans

Sostanzialmente le banche hanno continuato a liberarsi di queste sofferenze vendendo a prezzo stracciato i crediti a società che si occupano appunto di questo: di recuperare il poco recuperabile liberando le banche dall’incombenza. I timori ora sono per la formazione di nuovi npl, in seguito alla fine di questo periodo in cui la crisi è in un certo senso congelata, tra sussidi straordinari e cassa integrazione, quando alcune sofferenze provocate dagli effetti della pandemia risulteranno più evidenti.

I dati si riferiscono al 2019-2020

Fonte: Eba

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