Parametri europei: l’Italia ne vìola soltanto 2 su 14

indicatori economici europei
Sorpresa: insieme alla Germania, siamo i più rispettosi delle regole dell’eurozona. Ecco i dati

La Macroeconomic Imbalance Procedure (Mip) Scoreboard può essere tradotta come la tabella degli squilibri macroeconomici, quelli che fanno scattare gli allarmi della Ue per i Paesi dell’area euro.

Gli indicatori economici europei

Si tratta di una serie di indicatori, controllati e misurati ogni anno, che mostra quale Paese e in quale ambito sta andando oltre una certa traiettoria, si trova cioè in uno squilibrio economico che alla lunga renderebbe più fragile tutta l’area della moneta unica. Sulla base di questi numeri da Bruxelles partono delle lettere che avvisa un dato Paese che è fuori dagli indicatori economici europei in modo che possa migliorare e rientrare in carreggiata.

I dati mostrati nella tabella sopra (cliccare per ingrandire) mostrano il quadro esaustivo della situazione economica di tutti i Paesi in relazione agli indicatori che dovrebbero rispettare, se sono “fuori parametro” la cella della tabella è rossa. La tabella è stata redatta nel contesto di quello che è chiamato Dialogo Economico con l’Eurogruppo e il suo neo-presidente, il portoghese Mario Centeno.

Indicatori economici europei, l’Italia ha fatto i compiti a casa

La notizia è che il confronto totale tra tutti gli indicatori per tutti i Paesi Ue piazza l’Italia tra i primi della classe relativamente ai dati del 2017, gli ultimi disponibili. Solo in 2 dei 14 parametri economici Roma sfora la soglia raccomandata da Bruxelles. Nella stessa, eccellente situazione, sono anche Belgio, Germania, Slovenia, Lussemburgo, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Finlandia. Solo Estonia, Austria e Malta fanno meglio, con una sola infrazione. Al contrario sono 5 gli indicatori economici europei fuori quota per l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna, addirittura 7 per Cipro. La Grecia si è presa, invece, 4 “rossi”. I rimanenti, Paesi Bassi e Francia, sforano gli indicatori economici europei in tre casi su 14.

Noi come la Germania

Certo, non tutti gli indicatori economici europei sono uguali: c’è sforamento e sforamento. Per esempio: nel caso italiano siamo decisamente mesi male in un ambito importantissimo, quello del debito pubblico, che è pari (nel 2017) al 131.2% del Pil. In questo campo siamo i peggiori d’Europa dopo la sola Grecia. Vi è da dire anche che su 19 Paesi solo 7 riescono a rimanere sotto il 60%, che è l’obiettivo da sempre stabilito dalla Ue, e tra questi non vi è neanche la Germania.

L’altro parametro che l’Italia non rispetta è il tasso di disoccupazione medio degli ultimi 3 anni, pari all’11.6%, quando la raccomandazione di Bruxelles è di non superare il 10%. In questo caso il nostro Paese è in compagnia di altri 5 Stati Ue: Grecia, Spagna, Francia, Cipro e Portogallo. Vi sono poi altri indicatori economici europei in cui invece ci comportiamo particolarmente bene, e che vedono molti Paesi superare la soglia raccomandata anche di molto.

Dove sbagliano gli altri

Uno di questi è la posizione internazionale di investimento netta in percentuale sul Pil. Si tratta del saldo tra debiti e crediti sia privati che pubblici nei confronti dell’estero. O, per dirla ancora meglio, della differenza tra gli asset all’estero posseduti da un Paese e quelli del Paese detenuti da stranieri, che si tratti di titoli, moneta, immobili, quote di società, obbligazioni, ecc.
Ebbene l’Italia risulta nazione debitrice solo per il 5,3% del Pil, quando la raccomandazione è di non andare oltre un -35%. Soglia che invece viene superata da Irlanda, Grecia, Cipro, Lettonia, Lituania, Spagna, Portogallo e Slovacchia, Paesi che hanno vissuto una grave crisi finanziaria oltre che economica, che sono ricorse, a differenza dell’Italia, all’intervento esterno per salvare o il proprio bilancio o le proprie banche.

Dove sbaglia Berlino

Come sappiamo, poi, la Germania, assieme a Malta e ai Paesi Bassi, supera la soglia consentita della bilancia dei pagamenti in percentuale del Pil, ovvero esporta troppo, esattamente l’8,4% del Pil, quando si dovrebbe rimanere tra un -4% e un +6%. L’Italia è al +2,3%.

Indicatori economici europei e deflazione

Anche una eccessiva deflazione, che di fatto funziona come una svalutazione (per questo si dice che il cambio effettivo cala) è negativa, se eccessiva. Ed è il caso di Irlanda e Cipro, in cui c’è stato un calo del 6,2% e 6,6%. La Grecia, poi, ha perso troppe quote di esportazione sul mercato mondiale, il 10%, oltre la soglia del -6% prevista dall’Unione. L’Italia ha perso solo il 2%.

E poi c’è il costo del lavoro: è aumentato troppo in 3 anni in Estonia, Lettonia e Lituania, rispettivamente del 12,4%, 14,7% e 16%. Solo dell’1,1% in Italia. Diciamo però la verità: se nei Paesi dell’Est gli stipendi crescono, magari anche oltre il limite del 9% stabilito dalla Ue, può essere una buona notizia per Paesi come l’Italia che soffrono delle delocalizzazioni verso Paesi dal costo del lavoro minore.

Anche per quanto riguarda i prezzi delle case siamo molto lontani dalla soglia di pericolo (più 6% in un anno) che invece viene superata in Paesi Bassi, Portogallo e Slovenia. In questi Paesi c’è un pericolo bolla che invece appare inesistente dal punto di vista del credito. In nessun Paese si supera un 14% nel flusso di credito privato ovvero la misura di quanto aumenta la concessione di prestiti alle famiglie in un anno

I debiti dei privati

Uno degli indicatori più importanti, legato a quello sui prezzi delle case, è quello sul debito privato rispetto al Pil. A differenza di quello pubblico, in questo caso l’Italia è tra i Paesi che ha la “coscienza pulita”. Sta sotto il limite del 133% che, invece, è superato da Belgio, Irlanda, Spagna, Francia, Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Finlandia. E non di poco in diversi casi. A Cipro sono al 316,3%, nel Lussemburgo a 322,9%.

Molti meno sforamenti negli altri indicatori riguardanti il lavoro, ovvero il tasso di attività (quanti lavorano o cercano un impiego) e le variazioni nella disoccupazione giovanile o di lungo periodo. Fondamentali economici italiani buoni quindi. Ma quel debito pubblico rimane un macigno che ostacola ogni operazione volta a migliorare altri indicatori, in primis quelli sulla disoccupazione.

I dati si riferiscono al: 2017

Fonte: Parlamento Europeo

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