Il triplo rispetto al 2021, nel 2018 erano 15. I guadagni trainati dalle commissioni
Gli istituti di credito italiani godono di ottima salute: macinano record su record. È dai numeri del loro successo che scaturiscono le proposte di tassare i cosiddetti extraprofitti delle banche per rimpinguare le casse dello Stato. I dati di Fabi, la Federazione Autonoma Bancari Italiani, sono eloquenti: secondo le sue stime nel 2024 gli utili del settore bancario sono arrivati a 46 miliardi e 466 milioni di euro, 5 miliardi e 676 milioni in più rispetto al 2023, quando per la prima volta si sono superati i 40 miliardi.
Quei dati del 2023 a loro volta rappresentavano un’enorme crescita rispetto a quelli degli utili del 2022, 25 miliardi e 454 milioni, e del 2021, 16 miliardi e 436 milioni, che erano invece in linea con i numeri pre-Covid, del 2018 e del 2019, tra i 15 e i 16 miliardi. A fare eccezione era stato il solo 2020, quando a causa della crisi innescata dalla pandemia i profitti erano scesi a 2 miliardi e 220 milioni.
È stato questo fortissimo incremento degli utili delle banche, con pochi precedenti nell’economia italiana, a scatenare il dibattitto sugli extraprofitti, sulla loro presenza e quindi sulla loro eventuale tassazione. Un dibattito, appunto, che non riguarda solo l’imposizione di imposte sugli istituti di credito, ma anche, a monte, il concetto stesso di extraprofitto. Questa, in effetti, non è una nozione strettamente economica, ma più politica e mediatica. Secondo le regole dell’economia anche nel caso delle banche esistono solo i profitti, cioè la differenza tra le entrate, principalmente gli interessi attivi sui prestiti e le commissioni, e le uscite, ovvero gli interessi passivi sui depositi e i costi operativi, per esempio gli stipendi. A essere definito extraprofitto è stato l’utile aggiuntivo che si è formato per le particolari condizioni economiche di questi ultimi anni.
Come l’inflazione e la Bce hanno creato gli extraprofitti delle banche
Stiamo parlando del rialzo dei tassi di interesse che ha avuto luogo piuttosto all’improvviso in seguito all’innalzamento dei tassi di riferimento da parte della Bce effettuato per contrastare l’impennata repentina dell’inflazione nel 2022. I tassi europei, rimasti a zero per moltissimi anni, tra il luglio del 2022 e il settembre del 2023 sono stati aumentati fino al 4,5%, per poi scendere gradualmente a partire dal maggio 2024, ma senza ritornare ai livelli, forse irripetibili, dello scorso decennio. Ora sono, infatti, al 2,15%.
I tassi di riferimento della Bce rappresentano quelli ai quali le banche possono ottenere credito presso la Bce stessa e il loro aumento comporta che gli istituti di credito, per proteggersi, accrescano quelli che applicano sui prestiti che erogano e quelli che pagano ai clienti per i depositi. È, all’incirca, quello che succede quando un’impresa aumenta i prezzi a causa della salita dei costi imposti dai propri fornitori. Tuttavia le banche hanno innalzato i tassi applicati ai prestiti e ai mutui, che influenzano le entrate degli istituti di credito, molto più velocemente di quanto abbiano fatto con i tassi pagati sui depositi, che vanno ad alimentare i costi.
Di conseguenza sono molto aumentati sia i margini di interesse (la differenza, appunto, tra quelli incassati e versati, che è tra le voci principali dei ricavi), che il loro peso. Tra il 2018 e il 2021 erano stati in calo, da 41 miliardi e 877 milioni a 38 miliardi e 408 milioni, ed erano passati dal rappresentare il 50,9% delle entrate al 46,5% di esse. Nei successivi tre anni, però, è cambiato tutto: sono decollati fino ai 64 miliardi e 440 milioni del 2024 e la loro quota sui ricavi è cresciuta al 51,6% nel 2022 e al 60,5% nel 2023, scendendo poi al 58,5% nel 2024.

Extraprofitti banche, il precedente del 2023
È in particolare la presenza di questo forte aumento dei margini di interesse dovuto a una situazione straordinaria che ha dato luogo al concetto di extraprofitti delle banche. Esattamente per questo il primo provvedimento di tassazione degli extraprofitti, nel 2023, consisteva in un’imposta del 40% sul margine aggiuntivo rispetto a quello dell’anno precedente. Tuttavia il gettito immaginato, di circa 2-3 miliardo, si era rivelato sostanzialmente nullo. La ragione è che emendamenti successivi avevano stabilito che in alternativa al pagamento della tassa le banche potessero imputare una cifra uguale a 2,5 volte l’imposta a riserva per rafforzare la loro patrimonializzazione, ed è quello che hanno fatto quasi tutte.
I costi degli istituti bancari sono saliti molto meno dei ricavi
La tassazione degli extraprofitti delle banche non è stata ripetuta nel 2024, ma oggi se ne riparla in ambito politico. Una parte della maggioranza, la Lega, insiste perché un settore così florido dia un contributo mentre aumentano le esigenze di spesa, per esempio per l’incremento degli investimenti in difesa. Tuttavia ma un’altra componente della stessa maggioranza, Forza Italia, è radicalmente contraria, perché rappresenterebbe una punizione per chi produce utili, una violazione dei principi del libero mercato.
Rispetto a due anni fa, come ha calcolato Fabi, in effetti i profitti delle banche hanno continuato ad aumentare, e non solo, è cresciuto molto anche il Roe, Return on Equity, cioè il rapporto tra profitto e capitale investito, arrivato nel 2024 al dato record del 13,3%, rispetto al 5,7% del 2021. Contemporaneamente il Cost/Income Ratio, il rapporto tra i costi operativi e i ricavi è diminuito, perché, al crescere delle entrate (arrivate a oltre 110 miliardi) le uscite sono salite molto meno: è diminuito l’anno scorso al 53,2%, a fronte del 67,2% del 2021. La riduzione degli sportelli, scesi nel 2024 per la prima volta sotto quota 20 mila (erano 25.409 nel 2018) ha certamente influito. È per questo che c’è chi ritiene che un settore che è così in salute, magari anche a spese della capillarità del servizio ai cittadini, possa pagare un po’ di più.
Nnuove tasse sugli extraprofitti delle banche?
Tuttavia molti addetti ai lavori sottolineano come oggi non sarebbe facile determinare un metodo di calcolo dell’imposta sugli extraprofitti delle banche. Il motivo è che nel 2024 l’incremento dei ricavi e quindi degli utili non è stata determinata, se non in piccola parte, da una salita dei margini di interesse, che sono cresciuti di 2 miliardi e 303 milioni rispetto al 2023, certo meno di quanto fossero saliti nel 2023, 16 miliardi e 616 milioni, e nel 2022, 7 miliardi e 113 milioni. Del resto nel 2024 l’aumento dei tassi è stato piuttosto piccolo e alla fine dell’anno questi avevano anche cominciato a scendere.
Quindi non si potrebbe imporre, come nel 2023, di pagare una aliquota sui margini di interesse incassati in più, genererebbe un gettito molto piccolo. A essere salite di più sono state le commissioni imposte dalle banche sui servizi offerti, diventate più elevate anche per compensare proprio la riduzione dei guadagni sugli interessi, destinati a scendere. Anche per questo si pensa ad altri strumenti come la tassazione dei buyback, cioè degli acquisti di azioni proprie che le banche effettuano per rafforzare la solidità patrimoniale o per dare valore agli azionisti, visto che ciò provoca un aumento del valore delle azioni stesse.
Si rischia una fuga degli investitori?
Il timore di chi si oppone a una tassazione degli extraprofitti delle banche, qualsiasi sia la parte di ricavi definibile come extraprofitto, è che in un momento in cui i tassi sono ormai in discesa e i margini di interesse ormai stano invece diminuendo, ci sarebbe una fuga degli investitori dal comparto bancario. Questo sarebbe particolarmente deleterio per il già molto piccolo mercato azionario italiano che, a differenza di quello di altri Paesi, vede il 60% della capitalizzazione concentrata proprio in banche e assicurazioni. I capitali potrebbero volare altrove, anche fuori dall’Italia.
Fonte: Fabi
I dati si riferiscono al 2018-2024
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