La migliore sanità italiana è quella del Piemonte

Emilia Romagna in declino. Ma con i nuovi criteri (più severi) solo 9 Regioni hanno la sufficienza

La tabella qui sopra rappresenta il punteggio raggiunto negli anni dalle diverse regioni e province autonome nei Lea, ovvero i Livelli Essenziali di Assistenza e considera anche i tempi di attesa sanità.

I tempi di attesa nella sanità

Si tratta di un insieme di 33 indicatori tra i quali, per esempio, la sicurezza alimentare, o la sorveglianza delle malattie infettive e i programmi vaccinali, poi l’assistenza distrettuale quindi l’assistenza farmaceutica o quella domiciliare, e infine, a livello più locale, l’assistenza ospedaliera che include tutte le prestazioni di responsabilità del singolo ospedale, come quelle inerenti il pronto soccorso o il ricovero ordinario.

Il Ministero della Sanità, che ha ideato il sistema di valutazione, attribuisce un punteggio a ogni indicatore, e se una Regione riesce a superare il punteggio di 160, viene considerata adempiente rispetto ai Lea stabiliti a livello nazionale. Significa, in altre parole, che la sanità, in quella Regione, è di buona qualità.

La sanità nelle Regioni

Come si vede dal grafico sopra, gran parte delle regioni risultano avere superato il livello della sufficienza, cioè “quota 60”. La sanità migliore, tuttavia, è quella piemontese che ha raggiunto un punteggio “stellare” di 221. Un valore, tra l’altro, cresciuto negli anni: nel 2012 era a 186. Viene poi il Veneto, a pari merito con l’Emilia Romagna, a quota 218. Il fatto preoccupante è che proprio l’Emilia Romagna ha abbandonato la posizione di leadership italiana che ha mantenuto tra il 2010 e il 2015.

L’Emilia Romagna non è più prima

Segue la Toscana con 216 e la Lombardia con 212 punti, in crescita dai 184 del 2012, poi l’Umbria con 208 e l’Abruzzo con 202 che, oltre a essere l’unica regione del Sud sopra i 200, è anche quella che realizza il maggior miglioramento sul 2012 quando era a 145.

Sotto la soglia dei 160 ci sono solo la Campania con 153, nonostante i progressi rispetto gli anni passati, e la Calabria, con 136 che è anche una delle sole due Regioni italiane che peggiorano il risultato rispetto all’anno prima, quando era a 144. L’altra è la Liguria, che però perde solo un punto: da 196 a 195.

La sanità nelle Regioni autonome

Vi è poi il caso delle regioni a statuto speciale, che sono state valutate per la prima volta solo nel 2017, e che per legge non sono tenute alla verifica degli adempimenti misurati con i Lea e, quindi, non hanno neanche inviato tutta la documentazione necessaria all’esame di tutti gli indicatori. Questo spiega il pessimo 120 dell’area più ricca e per molti versi più avanzata d’Italia, la provincia di Bolzano o il 149 della Valle d’Aosta e, in generale, i risultati sotto la media di queste regioni.

Ma i Lea sono affidabili?

Secondo la Banca d’Italia i dati che dimostrano il miglioramento (che si è verificato quasi ovunque) potrebbero però non essere molto affidabili. Come mai? Nel corso degli anni sono cambiati i criteri stabiliti dal ministero e quelli odierni sono meno severi di quelli usati in precedenza.

Per esempio: nel 2014 era ritenuto normale una percentuale di parti cesarei inferiore al 18%, nel 2017 si era passati al 25%. E se prima non era considerato accettabile superare il 23% nel 2017 la soglia dell’insufficienza era salita al 30%. Oppure, ancora: nel 2012 era ritenuto insufficiente un rapporto tra numero di posti in case di ricovero per anziani over 65 inferiore a 6 ogni 1000 abitanti, nel 2017 il confine era stato spostato a 4,81.

I criteri sono cambiati

Insomma, il dubbio è che in molte regioni, comprese alcune di quelle che hanno affrontato duri piani di rientri finanziari, i servizi sanitari non siano realmente migliorati, ma abbiano semplicemente tratto beneficio da un maggiore lassismo nei criteri del ministero

Dal 2020 infatti entrerà in vigore un nuovo sistema di rilevazione, che distinguerà in modo esplicito tre ambiti: prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera, che prevede altri criteri e indicatori.

Per l’area della prevenzione si considererà la copertura vaccinale pediatrica per esavalente e Mpr, controllo animali e alimenti, stili di vita, screening. Per l’attività distrettuale: tasso ospedalizzazione adulti per diabete, Bpco e scompenso cardiaco; tasso ospedalizzazione minori per asma e gastroenterite; tempi di attesa nella sanità; consumo antibiotici; pazienti trattati in Adi; percentuale re-ricoveri in psichiatria; numero decessi da tumore; anziani non autosufficienti nelle Rsa. Per l’attività ospedaliera: tasso ospedalizzazione; interventi tumore maligno al seno; ricoveri a rischio inappropriatezza; proporzione colecistectomie con degenza inferiore ai 3 giorni; over 65 operati di frattura al femore entro 2 giorni; parti cesarei.

Dal 2020 cambia tutto anche nei tempi di attesa nella sanità

Sulla base di questi nuovi criteri i risultati appaiono meno rosei. I dati di seguito sono quelli del 2016 ma adattati ai nuovi criteri che, come detto, entreranno in vigore l’anno prossimo. Ecco i numeri:

Con questi nuovi criteri i risultati non sono espressi in punti ma in percentuale e la sufficienza è raggiunta quando una Regione arriva a quota 60%. Il Piemonte resta primo soprattutto grazie all’ottimo 86,9% nell’assistenza di tipo distrettuale ma è superata da altre Regioni in altri campi. La Lombardia, invece, fa molto bene nella prevenzione, con l’80,92%, ma delude nell’assistenza distrettuale ed ospedaliera. In quest’ultima il primo posto è occupato dalla provincia di Trento, con il 92,4%.

Solo 9 regioni non risultano insufficienti in nessun ambito, tutte quelle ordinarie del Nord e del Centro tranne il Lazio che è al 56,32% nell’assistenza distrettuale.

La Puglia, la Calabria e la Campania sono insufficienti in tutti i campi, con quest’ultima che arriva solo al 25,41% nell’assistenza ospedaliera. La Sicilia ha risultati sorprendentemente buoni invece nell’assistenza ospedaliera e distrettuale (oltre il 70%) e bassi (48,48%) nella prevenzione, anche se in questo caso non sappiamo se c’entra il fatto che, come detto, non ci siano obblighi per le regioni a statuto speciale.

I dati si riferiscono al: 2012-2017

Fonte: Banca d’Italia-Ministero della Salute

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