Il Senato ha mai negato la fiducia al Governo?

nuova legge elettorale

Negli ultimi vent’anni non è mai accaduto. Il governo Renzi l’ha chiesta 50 volte

Oggi, lunedì 16 dicembre, il Senato voterà la manovra 2020 e la fiducia al governo Conte bis. L’esecutivo è pieno di spaccature, ma non dovrebbe traballare di fronte alla prima verifica. Guardando indietro, negli ultimi 20 anni non è mai successo che il Senato negasse la fiducia, ma la questione di fiducia è un istituto sempre più utilizzato dai primi ministri italiani. La nuova legge elettorale dovrebbe risolvere questo problema garantendo maggiore stabilità.

Tra Berlusconi e Prodi

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Nel decennio 2001-2011 sia Silvio Berlusconi sia Romano Prodi hanno spesso chiesto la fiducia ai senatori, per convertire in legge i decreti (Ddl) dei loro governi. E’ stata sempre concessa, tranne in un caso, quando il governo Berlusconi II si è dimesso per l’esito delle amministrative 2005, prima che il Senato potesse votare sulla venticinquesima questione di fiducia. Che, quindi, non è stata negata. Il Governo Berlusconi IV, che è stato il secondo più longevo nella storia della Repubblica, ha fatto passare i propri Ddl ponendo la fiducia solo 38 volte, poche rispetto al record assoluto del governo Renzi.

1996 e 2001: il caso Prodi

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Come si vede da questo grafico e dal precedente, i governi di Romano Prodi hanno spesso posto la questione di fiducia al Senato. Il primo, durato dal  17 maggio 1996 al 20 ottobre 1998 lo ha fatto 24 volte, in 875 giorni, il secondo (grafico 2001-2011) 22 volte in 617 giorni. Il governo Dini, il secondo governo Amato e il secondo governo D’Alema, invece, non l’hanno mai fatto. Il primo Governo d’Alema l’ha chiesta 3 volte e, come sempre negli ultimi vent’anni, l’ha ottenuta.

Governi saranno più forti?

Uno dei punti più importanti della Riforma della Costituzione, voluta dal Governo Renzi, scritta dal Ministro Maria Elena Boschi e bocciata dagli italiani, è che il Senato non avrebbe più dato la fiducia al Governo: sarebbe bastata quella della Camera.  Il Senato sarebbe stato la Camera di rappresentanza delle istituzioni locali composto da soli 100 membri: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni, al posto degli attuali senatori a vita.

Con al riforma voluta da Renzi la fiducia sarebbe stata votata solo dalla Camera e non dal Senato. Il fatto di non aver bisogno della fiducia del Senato, da un lato, avrebbe rafforzato l’esecutivo, dall’altro lo avrebbe indebolito: nessun governo avrebbe potuto più porre la questione di fiducia ai senatori sulle leggi costituzionali, sulle ratifiche dei trattati internazionali che riguardano l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, sulle leggi elettorali degli enti locali e su quelle sui referendum popolari.

Su queste (poche) materie, i rappresentanti delle istituzioni locali a Palazzo Madama avrebbero potuto bocciare i decreti legge del Governo senza farlo cadere e, di conseguenza, senza rischiare di andare a nuove elezioni, se il Presidente della Repubblica avesse deciso di sciogliere il Parlamento.

Renzi ha posto la fiducia al Senato 50 volte

Come si vede dal grafico sopra, negli ultimi cinque anni tutti i Governi hanno posto più volte la questione di fiducia al Senato (barra azzurra), sui Decreti Legge (Ddl), e tutte le volte l’hanno ottenuta (barra verde). Se qualche volta fosse stata negata, nel grafico ci sarebbe anche una barra rosso magenta. Il governo Renzi, dal 22 febbraio 2014 ha usato lo strumento della fiducia per 50 volte solo in Senato. “Sarò l’ultimo a chiedervela” ha promesso ai senatori il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel senso che, se la sua riforma fosse stata approvata dai cittadini, non ce ne sarebbe stato più bisogno.
Nei suoi otto mesi di vita, il governo Letta ha posto la questione di fiducia 10 volte, il governo Monti l’ha posta 38 volte.

I dati si riferiscono al periodo 1996-2016
Fonte: Senato

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