Rischio Covid sul lavoro, in Lombardia è il più basso

Nella regione più colpita solo il 28,4% dei lavoratori è nella fascia di rischio più alta

Nella lunga e prudente fase di riaperture, quando con la ripresa delle attività si ritorna al lavoro, l’attenzione si concentra sui rischi di contrarre il coronavirus in ufficio o in fabbrica. Così Banca d’Italia ha elaborato i risultati delle indagini di Inapp, Istituto nazionale per le Analisi Politiche, che ha analizzato come i lavoratori italiani possono essere divisi in base al rischio di contagio per la prossimità eccessiva tra loro o per l’esposizione a malattie e infezioni.

Quello che emerge, oltre alle differenze settoriali di cui già si è parlato nei mesi scorsi, con medici, veterinari, dentisti, insegnanti, baristi, che appaiono come i più a rischio, sono quelle geografiche. Dove infatti sono più concentrate le categorie meno al riparo? Ebbene, forse è una buona notizia, è proprio laddove che il virus si è scatenato e dove anche ora è più presente che il pericolo potenziale è minore, almeno per quanto riguarda il contagio sul lavoro, ovvero in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte.

Che cos’è l’indice di prossimità?

E’ stato infatti creato un indice di prossimità, che misura quanto i lavoratori siano a stretto contatto tra loro, e uno di esposizione, che misura quanto siano in pericolo di essere attaccati da malattie. Hanno quindi calcolato quanti per ogni regione rientrano nel gruppo per cui questi indici sono più alti, nello specifico il gruppo corrisponde al terzo di settori con il punteggio maggiore. E se in media è appunto il 33,9% dei lavoratori che sta nel terzo più a rischio, le percentuali cambiano molto in base al luogo. In Lombardia si scende al 28,4% per quanto riguarda l’indice di prossimità, e al 28,9% per quello di esposizione. E’ il risultato maggiore

Conta l’età più alta al Sud e il peso del turismo

In Emilia Romagna sono il 30,5% e il 31,9% rispettivamente i lavoratori nel terzo più a rischio per prossimità o esposizione, in Veneto il 31,3% e il 31,7%. Dove si hanno i valori massimi invece è in Sardegna, dove si arriva al 44,3% e al 44%, seguita da Sicilia e Valle d’Aosta, sempre sopra il 40%. Il motivo pare essere la diversa struttura economica e demografica delle regioni italiane. Nelle aree del Sud o anche in Liguria, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta il peso del settore turistico, e quindi della ristorazione o del’hotellerie, è superiore alla media. E questi ambiti sono quelli più a rischio per la maggior vicinanza tra le persone, come si sa.

In sostanza laddove ci sono più baristi o camerieri c’è più probabilità che avvenga un contagio sul lavoro. Altrove, per esempio in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, è più diffusa l’agricoltura, che è l’attività in cui cisono meno pericoli, oppure la manifattura in grandi aziende dove è possibile mantenere le distanze e non c’è contatto diretto con il cliente. Oppure si lavora in quegli ambiti dei servizi dove lo smart working è più utilizzabile.

Ma non solo. Al Sud la popolazione in generale, e quella che ha un impiego in particolare, è più vecchia. Se in media in Italia a essere sopra i 50 anni è il 21,6% degli uomini (più a rischio delle donne) che hanno un lavoro, in Puglia si arriva al 24,8%. In Lombardia si scende al 19,9%, soprattutto grazie alla maggiore occupazione giovanile, e all’immigrazione che porta dall’estero o da altre regioni più under 30 a lavorare al Nord. Questi numeri sono  un piccolo sospiro di sollievo forse per un Nord già martoriato. Sarà forse più facile controllare il contagio durante una eventuale seconda ondata, ma esigono una maggiore attenzione al Sud.

I dati si riferiscono al 2020

Fonte: Banca d’Italia

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