Lavoro forzato per 24,9 milioni di persone

Sedici milioni sono sfruttate nel settore privato, la gran parte sono donne

Il lavoro forzato nel mondo esiste ancora. È la parte preponderante di quella che l’Ilo (International Labour Organization) chiama schiavitù moderna. Questa coinvolge 40,3 milioni di persone, e se per 15,4, donne nell’ 84,2% dei casi, consiste in matrimoni forzati, per la gran parte, 24,9 milioni, si tratta di lavoro forzato di vario tipo, non pagato, ovviamente in nero, senza rispetto di nessuna legge sugli orari e sulle condizioni di lavoro, in ambiti illegali e criminali. E se nel caso dei matrimoni la maggiore prevalenza sia in Africa con 4,8 persone per mille abitanti, in quello del lavoro forzato è in Asia che si concentrano più sfruttati, 4 su mille, ma subito dopo viene Europa ed Asia Centrale.

L’Ilo divide le vittime del lavoro forzato in tre categorie. Ci sono quelle costrette a lavorare sfruttate dal settore privato, e sono la maggioranza, il 64%, 16 milioni in termini assoluti, anche qui in gran parte donne, il 57,6%. Tra questi c’è chi se la vede anche peggio della media, sono sicuramente quel 18,7% che è minorenne e quel 23% che è sfruttato al di fuori dal proprio Paese d’origine, perché immigrato o profugo.

La maggioranza relativa, il 24%, è costretta a fare lavori domestici, seguono con il 18% coloro che invece sono occupati forzatamente nel campo dell’edilizia. Pensiamo a tutte le donne bengalesi, filippine, indiane in condizioni di fatto di schiavitù in molte case nei loro Paesi o in quelli arabi, del Golfo, in particolare, e agli uomini, anche in questo caso speso asiatici, pakistani, indiani, cingalesi, ecc, che devono lavorare senza diritti nei cantieri degli stessi Paesi. Il 15% è sfruttato nell’industria, nelle tante fabbriche soprattutto in Asia in cui si lavora senza controlli, e l’11% in agricoltura, e qui probabilmente il peso di Africa e Sudamerica è maggiore.

La schiavitù del debito alla base del lavoro forzato

Il trattamento peggiore è quello però riservato a coloro che sono sottoposti a sfruttamento sessuale. Per il 99,4% di sesso femminile, sono 4,8 milioni nel mondo, il 73% in Asia, il 14% in Europa e Asia centrale. Il dato più inquietante è quello che riguarda la percentuale di minorenni, il 21,3%.

Meno conosciuta al grande pubblico è probabilmente la terza tipologia di lavoro forzato, quello statale. Si tratta di persone costrette dai propri governi, solitamente dittatoriali, a prestazioni lavorative. Per la maggior parte dei casi, il 63,6%, si tratta dell’impiego di cittadini, disoccupati o studenti, sfruttati in costruzione di strade, in fabbrica, in agricoltura, senza paga o con un salario insufficiente, spesso sotto forma di “lavoro comunitario” obbligatorio. Ma vi è anche un abuso della coscrizione militare obbligatoria, come in Eritrea, che è il caso più noto, o il lavoro forzato in prigione.

Il metodo principale per costringere un moderno schiavo a lavorare è il debito. Spesso erogato con interessi da usura, il credito concesso in caso di emergenza, per mantenere la famiglia, o per emigrare clandestinamente, va a formare un debito di lunghissimo termine, che potrà essere ripagato solo con anni e anni di lavoro senza diritti. E’ in questo situazione il 50,9% di coloro che sono coinvolti nel lavoro forzato, e tra gli uomini si raggiunge il 60,9%, soprattutto a causa di quello che accade in Asia. Al contrario nei Paesi arabi sono le donne le più indebitate. L’88,7% di loro deve lavorare per ripagare quanto chiesto in prestito.

La recessione mondiale seguita alla pandemia di Covid potrà esacerbare la povertà e la schiavitù moderna a essa legata, ma lo sapremo solo tra qualche anno.

I dati si riferiscono al 2016

Fonte: ILO

Leggi anche: In Italia più schiavi che in tutti Paesi europei

Ti piace citare i numeri veri quando parli con gli amici? – La redazione di Truenumbers.it ha aperto un canale Telegram: qui potrai ricevere la tua dose quotidiana di numeri veri e le ultime notizie; restare aggiornato sulle principali news (con dati rigorosamente ufficiali) e fare domande. Basta un attimo per iscriversi. Un’ultima cosa: siamo anche su Instagram.