Solo l’8,1% degli italiani over 25 segue corsi di formazione

Germania all’8,2%, la Svezia al 34,2%. I disoccupati non studiano

Gli esami non finiscono mai, afferma un noto detto. In Italia in realtà terminano molto prima che altrove. Coloro che in età adulta, tra i 25 e i 64 anni, seguono corsi di formazione di vario tipo sono solo l’8,1%. Percentuale ulteriormente scesa a causa della pandemia, ma questo è accaduto in tutta Europa e in tutto l’Occidente. Quello che ci distingue da questi Paesi, invece, è il dato strutturale: da sempre siamo coloro che danno meno importanza alla formazione dei lavoratori, al miglioramento delle competenze, all’aggiornamento di quelle di chi è disoccupato e cerca di rendersi più appetibile sul mondo del lavoro.

Niente corsi di formazione, siamo italiani

I numeri sono quelli della nostra infografica, che si riferisce appunto a tutti gli italiani che hanno superato l’età degli studi e non hanno ancora raggiunto quella della pensione. Il nostro 8,1% deve essere confrontato con i dati dei Paesi del Nord e del Centro Europa. Come Svezia, Svizzera, Finlandia, Danimarca, e molti altri.

È in Svezia che è maggiore la percentuale di adulti impegnati in corsi di formazione di almeno 4 settimane l’anno, il 34,2%. Segue la Svizzera, con il 32%, e poi la Finlandia, con il 29%. La media Ue è, in realtà, del 10,8%, non lontana dal dato italiano. Il motivo è che ad abbassarla vi è l’8,2% tedesco, una percentuale particolarmente bassa per un Paese che di solito in questo tipo di classifiche è molto più in alto. La Germania è superata anche dalla Francia, 19,5%, e dalla Spagna, 10,6%. Tra i motivi vi potrebbe essere il fatto che nel Paese più ricco d’Europa alla formazione sul campo sono dedicati molti programmi in età giovanile, dai 16 ai 24 anni.

Peggio dell’Italia, invece, si posizionano principalmente gli Stati dell’Est e la Grecia. In quest’ultimo segue corsi di formazione solo il 3,9% dei 25-64enni, in Polonia il 4,8%, e il record negativo è quello rumeno, dell’1,3%.

Solo il 5% dei disoccupati segue corsi di formazione in Italia

Questi dati naturalmente cambiano in base allo status lavorativo dei soggetti coinvolti. La brutta notizia è che nel nostro Paese a essere meno coinvolti nell’arricchimento delle proprie competenze sono alcuni di quelli che ne avrebbero più bisogno, ovvero i disoccupati. Solo il 5% di essi segue corsi di formazione. Basti pensare che in Svezia sono ben il 46% e in tutto il Nord Europa si supera il 20%. È ben evidente qui la differenza tra i luoghi dove le politiche attive per il lavoro sono più valide, o semplicemente esistono, e quelli in cui non vi si è mai investito molto.

I disoccupati non si aggiornano

Non è un caso che laddove vi sono più programmi di upskilling (accrescimento delle competenze) la disoccupazione è minore, e, soprattutto, è minore anche la disuguaglianza, perché anche chi viene da un background di povertà viene messo in grado di migliorare la propria posizione.

corsi formazione

I laureati più attenti alla formazione continua

Questa capacità, diciamo, perequativa, dei corsi di formazione per persone in età lavorativa, si misura in base alla percentuale effettiva di uomini e donne in condizione di fragilità che riescono ad accedervi. Sicuramente i meno istruiti sono nelle condizioni più sfavorevoli. Si tratta di coloro che non hanno raggiunto la laurea e neanche il diploma. Essendo però costoro molto spesso al di fuori non solo del mondo del lavoro, ma anche delle iniziative di welfare, vengono intercettati meno, nonostante siano i più bisognosi di competenze. A seguire dei corsi di formazione professionale o di altro tipo, per esempio da saldatore o da mulettista, sono solo il 4,3% di loro in Europa. Anche in questo caso le differenze tra i Paesi sono notevoli: in Italia si scende al 2,1%, e la Svezia rimane il caso più virtuoso, con il 23,7%.

Sono invece i laureati a essere coinvolti maggiormente in queste iniziative, siano esse pubbliche o private, attivate dalla imprese. Nel nostro Paese si arriva al 18,3% dei 25-64enni, una percentuale molto simile alla media Ue, 19%, e anche superiore a quella spagnola, 17,5%, e tedesca, 12,4%. Il record positivo in questo caso è quello svizzero, con il 44,6%. Questi numeri non stupiscono, del resto i corsi di formazione sono normalmente più frequenti in ambito lavorativo, e a lavorare di più, ad avere il tasso di occupazione maggiore, sono proprio quanti hanno fatto studi universitari.

Più si invecchia meno si seguono corsi di formazione

Oltre ai laureati sono i giovani quelli che più spesso sono impegnati in un miglioramento delle proprie conoscenze. Se tra i 25 e i 34 anni la proporzione di italiani che tornano sui banchi o vengono iscritti a corsi pratici è del 15,3%, questa scende al 7,6% tra i 35 e i 44 anni e al 6,6% tra i 45 e i 54 anni.

Questo nonostante probabilmente sia anche a questa età che sarebbe più prezioso incrementare le competenze, se ci si ritrova fuori dal mondo del lavoro, e, come capita dopo i 40 anni, non si è più appetibili. Anche nel resto d’Europa avviene lo stesso, ovvero si è meno coinvolti in corsi di formazione man mano che si invecchia, però i numeri sono più alti. Nella solita Svezia i 50enni che li seguono sono solo il 24,5%.

Negli Anni ’90 il 3% seguiva corsi di formazione

Come ogni fenomeno anche questo ha subito variazioni nel tempo, e dobbiamo dire che per fortuna vi è stato un miglioramento. Sia in Italia che altrove. Eurostat riesce ad andare indietro fino agli anni ’90 con i propri dati, ed emerge come allora a seguire corsi di aggiornamento o di formazione fossero meno, tra il 3 e i 4% dei 25-64enni del nostro Paese. Il progresso, quindi, è stato lento, ma c’è stato, anche se non ci ha consentito di raggiungere la media europea.

Media che, pure, ha superato il 10% solo nel 2014, ed era del 5,2% 20 anni fa, nel 2002. I maggiori incrementi sono quelli che hanno interessato i Paesi scandinavi: in Svezia tale percentuale è raddoppiata dagli anni 2000 a oggi. 

In sostanza su questo tema inseguiamo un miglioramento che nel resto della Ue riesce a essere più ampio. La speranza è che si riesca a fare uno scatto di reni grazie ai fondi del Pnrr, che, non a caso, dedica molto spazio alla formazione professionale a ogni livello, ma in particolare a quella che riguarda le competenze digitali, in cui abbiamo molto da recuperare.

I dati si riferiscono al 2019

Fonte: Eurostat e Ocse

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