Perché gli stipendi in Italia crescono solo dell’1,7%

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L’Europa è in ripresa ma le ore lavorate calano e gli stipendi pure. La spiegazione di Bankitalia

Nell’area euro la ripresa è cominciata nel 2013. Da allora, ci dice una ricerca della Banca d’Italia, il tasso di disoccupazione è calato di 3 punti, al 9,1%. Ma che è successo agli stipendi in Italia?

L’andamento dell’occupazione in Italia

Uno dei primi effetti fu un crescita dei salari del 3%. Del resto è noto che quando la disoccupazione cala, e ci sono meno persone che cercano lavoro, le aziende sono costrette ad aumentare i salari, dovendo riempire in fretta nuove posizioni per i nuovi progetti che con la ripresa si riattivano.

Nel grafico sopra è indicato il calo del tasso di disoccupazione (unemployment rate, scala destra) ma anche l’andamento di coloro che sono disponibili ma che non cercano lavoro (available, not seeking) e di tutti coloro che si ritrovano a lavorare part time involontariamente (involuntary part time, scala sinistra con 2013=1)

I posti vacanti e gli stipendi in Italia

Parallelamente è aumentato, ed è naturale, il tasso di posti vacanti (labour shortage), ovvero la percentuale di posti di lavoro per cui non si trova personale il cui andamento è mostrato nel grafico qui sotto. Come si vede dopo il 2010 c’è stata in generale una crescita di posti vacanti, ovvero di posti che potrebbero essere occupati, quindi la domanda di lavoro, tranne che in Spagna e Italia.

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E tuttavia nonostante la ripresa, appunto, sia continuata, nel primo trimestre 2017 si è notato come la crescita dei salari sia stata in media solo dell’1,7% anno su anno.
Lo vediamo nel grafico qui sotto nel quale, accanto al tasso di disoccupazione (unemployment rate) e al tasso di posti vacanti (EC indicator, scala sinistra), abbiamo la crescita annua dei salari (y-o-y wage growth, scala destra). Dal 2013 cala il tasso di disoccupazione e quello di posti vacanti, ma la crescita dei salari dopo un picco 5 anni fa, rimane stagnante.
crescita dei salari
Ma perché? I seguenti grafici ci danno un’indicazione. Mostrano le ore lavorate per lavoratore (Hours per w.). Lasciamo pure perdere la curva che indica l’andamento ciclico (Hours per w.: cycle), è un indicatore tecnico, e guardiamo quella tratteggiata.

Quante ore si lavorano in Italia

Si vede molto bene come storicamente in tutta l’area euro (“ea”, primo grafico in alto a sinistra) vi sia un calo del numero di ore lavorate in media per lavoratore per ogni trimestre. Da 425 a inizio millennio a 400 ora.
E’ così ovunque, anche in Italia (ultimo grafico in basso a sinistra) dove si è passati da 490 a 450. Certo, ci sono state delle fasi, durante le riprese economiche, in cui aumentano le ore lavorate per lavoratore, ma anche laddove questa tendenza è mediamente più accentuata, come per esempio in Francia nel 2017 si ritrova ad essere meno pronunciata.
crescita dei salari
Cosa succede? Accade che all’inizio di una ripresa le aziende, un po’ perché non sono ancora fiduciose, un po’ perché devono far lavorare a pieno regime i lavoratori storici che hanno diminuito il proprio ritmo, ricorrono proprio a questi per affrontare i nuovi carichi di lavoro. Portando a tempo pieno chi era part time, o con straordinari.

La mancata crescita degli stipendi in Italia

La cosa è costosa, i salari applicati sono quelli di un lavoratore esperto, e quest’ultimo riesce spesso ottenere un buon aumento. Da qui la crescita sostenuta sia delle ore lavorate pro capite, sia del salario orario nel 2013. Poi però, ma mano che il carico di lavoro aumenta, si passa da un approccio intensivo (l’utilizzo maggiore degli stessi lavoratori) a uno estensivo. Ovvero si assumono nuovi lavoratori. E per farsi trovare preparati in caso di picchi di lavoro se ne assumono molti, magari facendo lavorare meno ognuno di essi, incidendo sulla produttività complessiva.
E pagandoli meno, sia perché la disoccupazione è ancora alta, soprattutto nel Sud Europa, e i lavoratori si accontentano di guadagnare meno, sia perché si tratta spesso di giovani inesperti. Contribuiscono alla mancata crescita dei salari anche gli incentivi varati in vari Paesi per l’assunzione e i tagli del costo del lavoro, che spingono verso il ricorso a nuovi lavoratori piuttosto che a quelli già presenti.
Questi due elementi (il punto di partenza della disoccupazione, più alto, e gli incentivi e le nuove leggi sul lavoro) rappresentano fattori nuovi rispetto ad altri casi precedenti di ripresa economica nei decenni passati. E contribuiscono a mantenere bassa la crescita dei salari. E non può essere che così se si sceglie di assumere un 25 enne part time invece che chiedere a un 50 enne di fare degli straordinari.

I dati si riferiscono al: 2016

Fonte: Banca d’Italia

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