La fuga di capitali dall’Italia c’è: ecco tutti i numeri


Il confronto con il 2011: attiravamo 22 miliardi, ora ne escono 451. E’ “colpa” di Draghi?

Negli ultimi anni si è diffuso il timore che sia in atto una sorta di fuga di capitali dall’Italia, e non solo, verso la Germania e altri Paesi “forti” dell’Eurozona. C’entrano i saldi del sistema Target2, ma di cosa si tratta?

C’è davvero la fuga di capitali?

Per usare le parole della Bce il Target2 è un sistema di pagamento di proprietà dell’Eurosistema, che ne cura anche la gestione. È la principale piattaforma europea per il regolamento di pagamenti di importo rilevante; viene utilizzato sia dalle banche centrali sia dalle banche commerciali per trattare pagamenti in euro in tempo reale.
Nella sostanza se un’azienda italiana acquista dalla Germania un bene e incarica la propria banca di pagare un bonifico alla banca tedesca dell’azienda fornitrice, la banca italiana scala l’ammontare della transazione non solo dal conto del cliente ma anche dal proprio deposito presso la Banca d’Italia, che deve obbligatoriamente avere. Analogamente il deposito dell’azienda tedesca presso la sua banca aumenta e la banca segna un credito nei confronti della Bundesbank.

I movimenti di capitali in Italia

Il Target 2 registra questi movimenti segnando un saldo negativo dal lato italiano e uno positivo dal lato tedesco. La stessa cosa accade quando invece di una transazione per import/export ve ne è una per trasferimento da capitali, per esempio quando un privato, una società, una banca italiana sposta liquidità in Germania o altrove nella zona euro per acquistare un bund tedesco o un altro titolo, pubblico o privato (un’obbligazione).

Cosa è Target2

E’ importante, nonostante sia un argomento piuttosto tecnico, perché rende l’idea di come i capitali si muovono all’interno della zona euro mostrando chi sta vivendo un afflusso e chi una fuga di capitali. E tra questi ultimi c’è da un po’ di tempo l’Italia, appunto. Guardiamo il grafico sopra: la linea blu che si “impenna” indica il saldo nei conti della Bce la quale, da gennaio 2015, acquista titoli della periferia risultando quindi risulta in rosso. La linea verde è, invece, quella dell’Italia che, come si vede, tende verso il basso: significa che siamo in debito, ovvero, che sono più i capitali che escono di quelli che entrano (al contrario del saldo Bce).

I creditori d’Europa

Essendo che la somma deve essere zero, chi vanta invece un credito tra i Paesi europei? Più di tutti la Germania che è la beneficiaria prima di tutto di un saldo commerciale in grande attivo, e poi è anche colei che riceve la liquidità da coloro che puntano a investire in titoli sicuri, come i suoi. A lunga distanza, dopo la Germania, vi sono il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Finlandia, come mostra la tabella sotto, che è la trasposizione numerica del grafico in apertura. 

I saldi a debito o a credito dei vari Paesi presentano differenze impressionanti, soprattutto se paragonate con quelle dell’inizio 2011, l’anno in cui si verificò la crisi di fiducia con fuga di capitali da tutti i Paesi della periferia verso quelli del centro, in primis la Germania.

Il surplus tedesco

Allora la Germania presentava un surplus di 307.607 milioni, oggi di 895.298. Il Lussemburgo è passato da 69.372 a 193.404, i Paesi Bassi da 40.683 a 104.864.

Al contrario è peggiorata la posizione del Portogallo, che è passato da 60.769 milioni a 83.068 e della Spagna. L’Italia è passata, addirittura, da un attivo di 22.567 a un passivo di 451.259. La Bce è anch’essa in debito per il deflusso di acquisti di titoli, di 235.569 milioni.

Che cosa è successo prima

Se fossimo andati più indietro, al 2008 o anche al 2003, avremmo visto numeri tanto piccoli, sia in positivo che in negativo, da poter essere ignoratiFino al 2007-2008 la Spagna era in credito, ma di non più 30 miliardi, per il flusso di investimenti che attirava. La Germania era leggermente in debito per meno di 10 miliardi: nulla in confronto alle cifre attuali.

Quello che accadde nel 2011-2012 con lo spread lo sappiamo: tutti fuggirono dai nostri titoli di Stato, vendendoli, con conseguente uscita di capitali verso l’estero (a coloro che li stavano vendendo) e con l’uscita dei capitali italiani destinati a oltre-confine in cerca di “rifugio”.

Il problema è che se tra il discorso di Draghi del luglio 2012 (“whatever it takes”) e il gennaio 2015 ci fu un riflusso di quel saldo negativo, questo poi cominciò ad allargarsi fino a raggiungere i risultati attuali. Cosa è accaduto? Le interpretazioni sono molte.

Le conseguenze di Draghi

Un elemento di rottura è stato proprio l’inizio del Quantitative Easing, il programma di acquisti di titoli, soprattutto di Paesi della periferia dell’Europa, portato avanti dalla Bce. Da quel momento il nostro saldo ha ricominciato a peggiorare.

Di fatto la liquidità immessa attraverso l’acquisto di nostri titoli  da parte della Bce è stata utilizzata dagli italiani, in particolare dai privati e dalle aziende, per acquistare a propria volta titoli esteri, lussemburghesi o tedeschi, fondi, azioni, obbligazioni.

Gli ottimisti vedono il fatto che questo sia stato scatenato dall’azione della Bce come un’attenuante del problema: come a dire che la causa è esterna, c’è stata un’azione artificiale (con buone intenzioni tra l’altro) senza la quale si sarebbe tornati alla normalità.

Altri evidenziano il fatto che questo afflusso di liquidità non è stato investito in massa in attività produttive interne, come era nelle intenzioni della Bce, in particolare da parte delle aziende, ma piuttosto in attività finanziarie estere e questo dimostrerebbe la sfiducia nella capacità del mercato italiano, in particolare dell’economia reale, di generare rendimenti adeguati.

Cosa è successo ai rendimenti

A proposito di rendimenti, a causa del Qe i rendimenti decrescenti dei Btp italiani hanno certo distolto molti investitori, che hanno preferito vendere titoli e acquistarne altri più remunerativi, magari nel mercato azionario o dei fondi, e questo è un fenomeno comprensibile ma significa che l’Italia risulta attrattiva solo quando, essendo in crisi, presenta ritorni dei propri Btp elevati, e non lo è (neppure nel periodo della ripresa) nell’ambito degli investimenti in aziende o in altri strumenti che non siano titoli di Stato. Per quelli gli italiani stessi si rivolgono all’estero accentuando il fenomeno della fuga di capitali. Lo si vede nella decomposizione del nostro saldo negativo, effettuata dalla Banca d’Italia nel 2017.

Compriamo titoli esteri

Il prospetto di riferimento è quello a destra del grafico qui sotto. Si evidenziava già una tendenza ora accentuata: quella della crescita degli investimenti italiani in titoli esteri, che prima del 2015 era invece di segno opposto, ovvero gli italiani vendevano titoli esteri, mentre ora li comprano, provocando un passivo italiano e un attivo estero.

Rimane poi un segno negativo nella raccolta netta delle banche sull’estero: significa che gli italiani trasferiscono fondi da quelle nazionali a quelle estere. Ed è ripreso il deflusso, che si era interrotto, di investitori esteri in titoli italiani, che vengono quindi rivenduti dagli stranieri.

Al contrario come componenti positive vi è il saldo di conto corrente e conto capitale, ovvero la bilancia commerciale positiva. Esportiamo più di quanto importiamo, questo contrasta le altre voci negative, ma non abbastanza da evitare il peggioramento del nostro saldo totale.

fuga di capitaliQuindi è vero, essendoci una Banca Centrale Europea unica non possiamo parlare di una situazione di emergenza, questi squilibri contabili rimangono all’interno dell’area euro, che come tale è in equilibrio, e come tale non provocano, come accadeva un tempo, movimenti dei tassi di cambio o dei tassi di interesse. Un tempo questi ultimi sarebbero stati costretti a salire, peggiorando l’economia reale.

Italia poco attraente

Tuttavia la fuga di capitali è un segnale preoccupante della poca attrattività della nostra economia a confronto di quelle vicine. Se anche un imprenditore italiano che acquisisce liquidità vendendo i Btp non trova occasioni di reimpiego in fondi di investimento del proprio Paese o, meglio ancora, in attività di allargamento del proprio business in patria, come potrà trovarne uno straniero?

 I dati si riferiscono al: 2001-2018

Fonte: Bce e Banca d’Italia

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