Perché all’Italia conviene la Brexit

Londra, dal 1984, non versa i contributi che dovrebbe. A pagare sono gli altri (e noi di più)

Il 23 giugno del 2016 la Gran Bretagna, attraverso un referendum voluto dall’allora premier Cameron, ha deciso di uscire dall’Unione Europea. È da allora che sono iniziate le estenuanti trattative per la Brexit tra Downing Street e Bruxelles, trattative che finora non hanno portato ad alcun risultato certo. Sulla carta, Londra uscirà dall’Ue il 29 marzo 2019. In pochi lo sanno, ma qualora dovesse accadere ci saranno delle ripercussioni non solo sulla struttura stessa dell’Europa, ma anche sugli italiani. O, meglio, sulle casse dello Stato italiano, e per una volta saranno delle ripercussioni positive. Perché? Sembra incredibile da dire, ma l’Italia, insieme a tutti gli altri Paesi dell’Unione, dal 1984 paga Londra affinché resti nell’Unione europea.

Cosa dicono i documenti sulla Brexit

Per trovare l’inghippo bisogna leggere con attenzione il bilancio dell’Ue, oppure la relazione della Corte dei Conti sul bilancio dello Stato italiano. Solo così si scopre che dal 1984, e senza limiti di tempo, la Gran Bretagna ha un privilegio straordinario: quello di versare meno contributi di quelli che dovrebbe. La differenza tra ciò che dovrebbe versare e ciò che versa effettivamente viene coperto da tutti gli altri Stati membri. Su tutti ma non su tutti in egual misura, perché, nel frattempo, per non essere da meno, anche altri Stati hanno preteso e ottenuto privilegi analoghi. Tra questi non c’è l’Italia.

Il successo della Thatcher

Partiamo dal 1984. Al vertice europeo del 25-26 giugno tenutosi a Fontainebleau, una data importantissima nella storia britannica, la Gran Bretagna guidata da Margaret Thatcher pose il problema di un’economia, quella del suo Paese, che otteneva ogni anno sempre meno di quello versava alle casse dell’Unione. Per di più in un momento di recessione economica piuttosto grave. Venne deciso, quindi, di aumentare il prelievo sull’Iva che ogni Stato doveva versare e, contemporaneamente venne stabilito un meccanismo di rimborso di una parte delle quote versate dalla Gran Bretagna, e solo da lei. La Thatcher, che ha sempre avuto un rapporto molto conflittuale con la Ue, al punto da minacciare diverse volte l’uscita dalla Comunità al grido di “I want my money back”, ottenne, per il 1985 un rimborso forfettario di 1 miliardo di Ecu (il progenitore dell’euro) e una riduzione del prelievo Iva.

Più versamenti per tutti

A quel punto sorse un altro problema: le entrate non coprivano le uscite dell’Unione, soprattutto per una spesa fuori controllo della Pac, la Politica agricola comune, il cui bilancio si aggravò con l’ingresso nella Ue di Portogallo e Spagna. Sono stati quindi ulteriormente aumentati i contributi degli altri Stati membri lasciando invariato il privilegio britannico di ottenere delle compensazioni in virtù proprio dell’accordo siglato a Fontainebleau. Tentativi di riforma di quell’accordo, conosciuto come “correzione britannica” sono stati molti: prima nel 1998, poi nel 2000 e, infine, nel 2005, quando il premier Tony Blair propose uno scambio: niente più “correzione britannica” in cambio di un abbattimento molto significativo delle spese della Pac (di cui la Gran Bretagna beneficia poco). Una proposta inaccettabile soprattutto per la Francia, che invece è uno dei maggiori beneficiari della spesa agricola. Ovviamente la proposta non raggiunse il suo scopo, e probabilmente era quello a cui puntava Blair: mostrarsi disponibile a rinunciare a un privilegio facendo di tutto per mantenerlo.

Le conseguenze della Brexit sull’Italia

Il risultato è che ancora oggi tutti i Paesi europei si sobbarcano l’onere della restituire alla Gran Bretagna i fondi che non versa. Tutti, ma, come detto, non tutti in egual misura perché nel frattempo alcuni Stati hanno ottenuto di ridurre il proprio contributo alla “correzione britannica”. Hanno ottenuto, insomma, una correzione della correzione. Si tratta di Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia che pagano solo i tre quarti del contributo al quale sarebbero tenuti.

In questo scenario l’Italia, invece, che non ha nessuna correzione in salsa britannica e nemmeno nessuna “correzione della correzione”, potrebbe ora avvantaggiarsi dalla Brexit. Roma, infatti, versa ogni anno, dal 1984, centinaia di milioni di euro per compensare i mancati versamenti britannici. Nel grafico sopra sono indicati i valori anno per anno dal 2011 al 2017: il dato più basso è stato registrato nel 2011, quando era fermo a 717,9 milioni di euro. Negli anni successivi è aumentato costantemente, fino a superare il miliardo nel 2014. Dal record del 2016 (1,26 miliardi di euro), nel 2017 è tornato a calare a 978,5 milioni.  Complessivamente, negli ultimi 7 anni la Gran Bretagna ha incassato dall’Italia quasi 7 miliardi di euro. Poco meno di un miliardo l’anno: tanto ci è costato, finora, evitare la Brexit.

I dati si riferiscono al: 2011-2017

Fonte: Corte dei Conti

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