Crescita degli stipendi: l’Italia a fondo classifica

Nel 2017 più 0,2%. Tra il 1999 e il 2008 sono saliti solo del 2,6%. Italia più competitiva

Quella mostrata dal grafico sopra è la crescita dei salari, anno su anno. Prima evidenza: nel 2017 l’Italia ha raggiunto il livello minimo, +0,2%, contro una media del +2,6% tra il 1999 e il 2008. E’ la conseguenza della crisi economica, che ha avuto come effetto l’abbassamento di tutti i prezzi e costi, fenomeno tipico dei tempi di recessione.

Il tasso di crescita dei salari in Italia

Si vede come, confrontando quanto accadeva prima della crisi, e quanto è successo nel 2017, l’Italia si sia ritrovata dall’essere in linea con la media della zona Euro ad avere una crescita dei salari decisamente inferiore.
Certo: già prima in quasi tutti i Paesi gli stipendi salivano ogni anno di più (del resto anche prima del 2008 il nostro Pil cresceva meno di tutti gli altri) ma vi era un’eccezione, la Germania, in cui i salari mettevano a segno un misero +1,2% annuo. Era un modo per guadagnare competitività in seguito alle riforme del lavoro del 2003. Tra l’altro la scarsa crescita tedesca influenzava tutto il continente perché la Germania, a causa del numero degli abitanti, conta come decine di altri Paesi europei messi insieme.
Oggi non accade più, gli stipendi tedeschi salgono più sia della media Ue che della media dell’area euro: più 2,6% annuo mentre quelli italiani dello 0,2%. Se vogliamo vederla in positivo possiamo dire che stiamo riguadagnando competitività, anche se in modo doloroso.

L’andamento delle retribuzioni

Chiaramente tutt’altra storia nei Paesi emergenti dell’Est, dalla Romania ai Baltici all’Ungheria, dove, in passato si raggiungeva la doppia cifra e dove ancora oggi gli stipendi crescono a ritmi tripli o quadrupli rispetto al resto della Ue, e 30-40 volte più velocemente che in Italia, come mostra il grafico sotto.

Certo, la differenza del costo del lavoro tra Paesi emergenti dell’Est e Italia ci vede ampiamente perdenti ma è un fatto che per quanto riguarda la crescita dei salari stiamo diventando più convenienti. E questo vale anche per altri aspetti. L’Italia ha fatto segnare nel 2017 un’inflazione più bassa di quella media della Ue e anche dell’area euro: 1,3% contro 1,7% e 1,5%. In Germania è del 1,7%. Nel 1999-2008 l’inflazione italiana, al 2,4%, era superiore rispetto a quella dell’area euro (2,2%), e a quella della Germania (1,7%), come mostra il grafico sotto.
Oggi un’industria che volesse impiantarsi nel nostro Paese troverebbe, quindi, costi inferiori rispetto a quelli dei principali Paesi, non solo a livello di salari, ma anche, per esempio, di costi di produzione.

Andamento degli stipendi e i costi di produzione

Una decina di anni fa, come mostra il grafico sotto, questi salivano in Italia in media del 3,1% annuo, più di quanto facessero nella Ue, +3%, o nell’area euro, +2,7%. Le nostre industrie insomma soffrivano una sorta di inflazione specifica superiore a quelle degli altri Paesi. Non era un caso che la nostra produzione industriale fosse stagnante se paragonata a quella, per esempio, tedesca, dove i costi salivano all’intorno del 2,4%.
Oggi al contrario i costi industriali crescono del 2,6% nel nostro Paese, mentre salgono del 3,6% nella Ue e del 3,1% nell’area euro. Crescono come in Germania, meno che in Spagna, o nel Regno Unito, anche se più che in Francia, dove l’energia, del resto, ha prezzi più bassi.

La stessa cosa succede con i prezzi delle case, come si vede nel grafico sotto. Questo è uno dei settori che più ha subìto conseguenze dallo scoppio della crisi, che ha coinciso con lo scoppio della bolla edilizia.

I prezzi delle case e la crescita dei salari

Nel 2017 in Italia una casa costava lo 0,8% in meno dell’anno prima, contro una crescita del 4% nella Ue e del 3,2% nell’area Euro. Nel decennio precedente la recessione eravamo esattamente in media, con un +5,6% annuo, appena sopra quello dell’area euro, e sotto il +6,4% della Ue. Anche in questo caso era la Germania a tenere basse le medie, con uno striminzito +1,4%, ora sostituito dal +6%.
Tra l’altro solo Cipro e Grecia non si sono riprese, oltre a noi, dalla crisi del mattone. Altri Paesi che hanno sofferto lo scoppio della bolla, come Spagna e Irlanda, vedono tassi di crescita nuovamente importanti, +4,7% la prima, +7,5% la seconda.
E’ vero: non ci sono stati nel nostro Paese crolli improvvisi delle quotazioni, ma oggi possiamo dire che stiamo diventando un Paese economico, relativamente ad altri dell’Europa Occidentale, anche in questo.

Volendola vedere in senso positivo, se per alcuni proprietari, soprattutto in provincia, si è trattato di una perdita di valore, oggi stranieri, aziende o privati, che volesse acquistare in Italia attingendo al suo sterminato patrimonio immobiliare, si troverebbero avvantaggiati rispetto a dieci anni fa.

I dati si riferiscono al: 1999-2017

Fonte: Banca d’Italia

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