La riforma delle pensioni ha fatto calare i pensionati

Le persone andate in quiescenza nel 2016 sono calate di oltre 126mila unità. “Mazzata” sulle donne

L’Inps, come fa ogni anno a gennaio, ha pubblicato i dati sul numero di persone che ha potuto accedere alla pensione nell’anno precedente. I dati relativi al 2016 sono particolarmente interessanti, perché confrontandoli con quelli del 2015 si nota subito una variazione importante: cala il numero di pensionati, e cala in ogni segmento vogliamo dividere la popolazione in base al trattamento previdenziale operato. Il motivo sta nell’approvazione della riforma delle pensioni.

Cosa prevede la riforma pensioni della Fornero

I dati sono chiari, le  570.002 persone che sono andate in quiescenza nel 2015 sono diventate 443.477 nel 2016, come si vede nel grafico sopra. E colpisce la distribuzione piuttosto omogenea di questa diminuzione: in media è del 22,2% ma se si distingue per le gestioni previdenziali allora si va dal -20,32% dei parasubordinati al -28,75% degli assegni sociali. Il gruppo di gran lungo più grosso, quello che raccoglie i dipendenti privati, vede un decremento del 20,98%, passando da 319.077 a 252.131.

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Che cosa è successo? Lo si capisce osservando come questi numeri cambiano distinguendoli per tipologia di pensioni. E allora si scopre, come mostra il grafico sotto, che sono le pensioni di vecchiaia, che costituiscono la maggioranza relativa, quelle ad avere subìto il calo maggiore, -30,29%, mentre quelle di reversibilità (dei superstiti) scendono “solo” del 12,1%

La ragione è che nel 2016 sono scattati gli aumenti dell’età pensionabile previsti dalla riforma pensioni dell’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero in presenza dell’aumento della speranza di vita: di fatto nel gennaio 2016 si è passati per tutti gli uomini che hanno lavorato sia come dipendenti che come autonomi, e per le donne impiegate nel settore pubblico, da un’età di 66 anni e 3 mesi per poter richiedere la pensione di vecchiaia a una di 66 anni e 7 mesi, e naturalmente 20 anni di contributi, che rimangono gli stessi.
Si tratta di un adeguamento che scatta in media ogni 3 anni, ed è accaduto nel 2016 e si ripeterà di nuovo con tutta probabilità, se l’allungamento della vita rimarrà una costante, nel 2019.

Gli effetti della riforma pensioni

Questo è il motivo per il quale nel 2016 almeno nei primi mesi dell’anno, spiega l’Inps, non vi sono quasi stati pensionamenti se non di coloro che avevano maturato l’età a dicembre 2015. Gli altri, per esempio chi ha compiuto 66 anni e 3 mi a gennaio, hanno dovuto aspettare 4 mesi in più, e considerando la burocrazia è da metà anno che sono ripresi i pensionamenti.

Le donne le più colpite dalla riforma

Non solo: nel 2016 di fatto non ci sono stati pensionamenti per vecchiaia di donne del settore privato, se non di qualcuna che aveva maturato i termini a dicembre 2015 e che non è stata toccata dalla riforma pensioni. Il motivo è che nel 2016 per loro è scattato un aumento decisivo dell’età pensionabile, che è passata dai 63 anni e 9 mesi del 2015 ai 65 anni e 7 mesi del 2016. la riforma pensioni non ha, però, inciso troppo sugli importi degli assegni.
Di fatto chiunque avesse compiuto all’inizio del 2016 63 anni e 9 mesi sta ancora attendendo di andare in pensione, essendo il salto superiore all’anno. Per le lavoratrici autonome si è passati da 64 anni e 9 mesi a 66 anni e 1 mese. Per le donne all’aumento della durata della vita si aggiunge lo sforzo di parificazione graduale con i requisiti richiesti agli uomini, decisa da tempo.
Si aggiunga che un aumento dei termini è scattato nel 2016 anche per i pensionamenti di anzianità contributiva. Si è passati da 42 anni e 6 mesi a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e da 41 anni e 6 mesi a 41 anni e 10 mesi per le donne.
Questo spiega il maggior calo delle pensioni legate a un termine o un’età da raggiungere rispetto a quelle legate a una condizione come quelle di reversibilità o di invalidità.

I dati si riferiscono al: 2016
Fonte: Inps

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