La popolazione dell’Artico è diminuita dell’1,5% in dieci anni. “Colpa” dei russi
Il grafico mostra le variazioni demografiche nelle regioni artiche, distinguendo le variazioni dovute al bilancio di nati e morti (in blu) e quelle dovute all’emigrazione e all’immigrazione (in rosso)
Meno russi in Siberia
La popolazione dell’Artico è diminuita dell’1,5%, tra il 2000 e il 2010. Come si vede dal grafico, il calo è stato causato soprattutto dall’emigrazione dal Nord della Russia, in questi luoghi vivevano oltre il 50% degli abitanti dell’Artico. Dalle regioni di Murmansk, Taymir e Chukotka se ne sono andati oltre il 20% degli abitanti, soprattutto a causa della mancanza di opportunità di lavoro.
Inoltre, tra la popolazione di origine russa, le nascite sono crollate e l‘elevata fertilità dei nativi non basta a compensare l’emigrazione: nella regione di Chukotka la media è stata di 2 figli per donna, appena sufficiente per sostituire i morti.
La popolazione dell’artico
In Alaska, Islanda e nei territori artici del Canada, come Nunavut, la crescita globale è stata superiore alla media mondiale. A Nunavut il tasso di fertilità è stato il più alto del Nord America, perché i nativi (cioè gli esquimesi) hanno avuto in media 3 figli per donna. Per questo, nonostante l’emigrazione, la popolazione netta è cresciuta di quasi il 20% in questo territorio, molto più velocemente della media del Canada.
Anche in Alaska la popolazione è cresciuta, sia perché lo Stato ha incoraggiato l’immigrazione, con incentivi economici, sia, soprattutto, perché le nascite sono state molte più delle morti. Il tasso di fertilità è stato il più elevato degli Stati Uniti, 2,2 figli per donna.
La popolazione della Groenlandia è cresciuta del 2% circa, malgrado l’8% degli abitanti si siano trasferiti altrove, perché gli esquimesi hanno sempre avuto un alto tasso di fertilità e hanno smesso di morire a causa delle malattie importate in quei luoghi dagli europei.
I dati si riferiscono al periodo 2000-2010
Fonte: AHDR
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